È questa la stima dei fondi pubblici destinati nel 2017 ai centri antiviolenza. In tutto risorse per 12 milioni di euro, l'indagine Istat

di Gabriella Lax - Dodici milioni di euro che, divisi per il numero delle vittime, fanno 76 centesimi al giorno per ogni donna vittima di violenza. Questi alcuni dei numeri di un report dell'Istat sui centri antiviolenza.

Violenza sulle donne, l'indagine sui 281 centri

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Solo nel 2017 sono state 43.467 le donne che si sono rivolte ad un centro antiviolenza, in percentuale 15,5 ogni 10 mila donne. Tra di esse il 67,2% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10 mila). Di queste donne in cammino per sfuggire alla violenza già il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi; il 27% di donne sono straniere. Questi alcuni dei numeri della indagine dell'Istat fatta insieme al Dipartimento per le Pari Opportunità, il Cnr e le Regioni, su 281 Centri antiviolenza che svolgono attività a sostegno delle donne maltrattate e dei loro figli. Peccato che la Convenzione di Istanbul del 2013 stabilisce che dovrebbe esserci un centro ogni diecimila abitanti. Ma come si mantengono questi centri? Il 51,4% è finanziato sia con fondi pubblici sia con fondi privati, il 35,2% solo con fondi pubblici, il restante 5,1% solo con fondi privati. Il 6,7% non ha alcun tipo di finanziamento. Quanto all'accesso ai soli finanziamenti pubblici caratterizza maggiormente il Sud (52,9%) e le Isole (52,4%). Invece il Nord-Est si caratterizza per la combinazione di fondi privati e pubblici (86,3%) mentre i Centri che vivono di soli finanziamenti privati sono più diffusi nelle Isole (9,5%).

Violenza sulle donne, 76 centesimi al giorno per vittima

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Il dato più allarmante lo sottolinea Lella Palladino di "Donne in rete contro la violenza (Di.re.)": nel 2017 i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che - se divisi per il numero delle donne accolte secondo l'Istat ossia 44mila- fa 76 centesimi, meno di 1 euro al giorno. «Il quadro che emerge dalla rilevazione conferma le criticità che da sempre e continuamente mettiamo in evidenza - evidenzia Palladino - i centri antiviolenza sono troppo pochi, con interi territori scoperti, il personale solo parzialmente retribuito, le risorse assolutamente al di sotto del bisogno».

Centri antiviolenza, la reperibilità

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I centri antiviolenza sono aperti in media 5,1 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno. L'89,7% dei centri è aperto 5 o più giorni a settimana. La quasi totalità delle strutture ha attivato diverse modalità per essere reperibile in modo continuativo, dal numero verde alla segreteria telefonica al numero di un telefono cellulare.

Solo il 2% dei Centri non ha adottato soluzioni di continuità h24, ma comunque garantisce un'accoglienza media di 4,3 giorni a settimana e aderisce al numero telefonico contro la violenza 1522 . Il 95,3% dei Centri è infatti presente nella lista dei servizi a cui le donne che telefonano al 1522 vengono indirizzate. Il numero di pubblica utilità 1522 è attivo da 2006 dal Dipartimento pari opportunità presso la presidenza del consiglio, e garantisce la medesima accoglienza e accessibilità alle donne su tutto il territorio. Nel 2009, con l'entrata in vigore della L.38/2009, modificata nel 2013 in tema di atti persecutori, lo stesso DPO ha iniziato un'azione di sostegno anche nei confronti delle vittime di stalking.

Centri antiviolenza, i servizi offerti

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Tra i servizi che vengono offerti nei centri ci sono l'accoglienza (99,6%), il supporto psicologico (94,9%), il supporto legale (96,8%), l'accompagnamento nel percorso verso l'autonomia abitativa (58,1%) e lavorativa (79,1%) e in generale verso l'autonomia (82,6%). Meno diffusi, il servizio di sostegno alla genitorialità (62,5%), quello di supporto ai figli minori (49,8%) e quello di mediazione linguistica (48,6%).

Centri antiviolenza, si reggono sulle volontarie

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Come stabilisce l'Intesa Stato, Regioni e province autonome del 2014, nei centri il personale è solo femminile. Sono 4.403 le donne che operano nei centri: 1.933 sono retribuite e 2.470, la maggior parte, sono volontarie. Nel Sud la quota di volontarie è molto inferiore alla media nazionale (31,0%) mentre il contrario si verifica nel Nord-ovest e, in misura minore, al Centro. Nel Nord-est coesistono, invece, realtà molto diverse: Veneto e Trentino Alto Adige hanno una presenza preponderante di personale retribuito, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna contano maggiormente sulle volontarie. Ogni centro assicura la presenza di diverse figure professionali specifiche: il 76,7% ha più di tre tipologie di professioni nel suo team e il 5,5% ne ha addirittura sette. Questa molteplicità di competenze caratterizza sia i centri più piccoli sia quelli più grandi (rispetto alla classe di numerosità di utenza). A parte la presenza di coordinatrici o vicecoordinatrici, riscontrata quasi ovunque, nei centri lavorano soprattutto le avvocate (il 94,1% dei Centri ne ha almeno una), le psicologhe (il 91,7% ne ha almeno una) e le operatrici di accoglienza (89,3%). La metà dei centri si avvale inoltre della figura professionale dell'assistente sociale e dell'educatrice/pedagogista mentre le mediatrici culturali sono presenti nel 28,8% dei casi. I centri hanno anche personale amministrativo (75,5% dei casi) e altre figure, come l'orientatrice al lavoro o il personale di formazione sanitaria.


Foto: 123rf.com
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