di Gerolamo Taras - È  inammissibile, per difetto di legittimazione all'azione, il ricorso giurisdizionale proposto da un soggetto giuridico in luogo di un altro direttamente leso da un provvedimento amministrativo.

Di conseguenza, il curatore fallimentare, non poteva proporre   ricorso, in sostituzione del proprio debitore,  per l' annullamento del provvedimento di revoca della  concessione di un finanziamento  pubblico per la realizzazione di una strada interpoderale. La società debitrice aveva beneficiato di un contributo regionale di 175.000.000 di lire per la costruzione della strada, i cui lavori venivano però appaltati (con regolare contratto) ad un' altra impresa. La revoca del finanziamento era stata disposta dall' Ente Pubblico, per la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel decreto concessorio e per la mancata esecuzione delle opere in conformità del progetto approvato, come rilevato in sede di collaudo dell' opera. Contro il provvedimento di revoca e per la dichiarazione di regolare esecuzione dei lavori, non veniva presentato ricorso dalla società concessionaria del finanziamento regionale. Proponeva invece ricorso al TAR, tramite il curatore fallimentare, l' impresa (dichiarata nel frattempo fallita) nel tentativo di recuperare all' attivo fallimentare il contributo di 175.000.000 di lire concesso per la realizzazione dell' opera pubblica.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile dal TAR. In appello il Consiglio di Stato (Sezione Quinta) - SENTENZA N. 02439/2014 - ha confermato la decisione  del Giudice di Primo grado.

Anche il Consiglio di Stato, come in precedenza il TAR non ha ritenuto sussistente l' interesse ad agire in capo al ricorrente, in quanto "per costante giurisprudenza, perché un interesse (compreso quello c.d. strumentale   identificabile nel vantaggio potenzialmente derivante alla società fallita dall'annullamento del provvedimento dirigenziale impugnato) …possa essere tutelabile con un'azione giurisdizionale amministrativa, deve essere, oltre che attuale, "personale", ossia differenziato dall'interesse generico di ogni cittadino alla legalità dell'azione amministrativa.

Anche la lesione da cui discende l'interesse all'impugnativa, oltre che attuale, deve essere "diretta", nel senso che incide in maniera immediata sull'interesse legittimo della parte ricorrente".

"L'azione giurisdizionale amministrativa è, invero, ammessa per la tutela, non tanto dell'interesse oggettivo della legittimità degli atti amministrativi, bensì delle situazioni giuridiche soggettive incise dal provvedimento amministrativo del quale si deduce l'illegittimità; pertanto, l'interesse a ricorrere sussiste in relazione alla compresenza dei tre elementi costituiti dall'interesse legittimo, cioè dalla titolarità di una posizione sostanziale e personale (tale da differenziare il soggetto agente dalla generalità dei consociati), dalla lesione diretta, immediata e attuale concretamente subita, e dal vantaggio sperato, ricavabile dalla chiesta rimozione giurisdizionale dell'atto impugnato".

"L'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall'art. 100 c.p.c. (che assiste le azioni oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto), va infatti identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e che, senza il processo e l'esercizio della giurisdizione, comporterebbe danno direttamente per l'interessato".


Ma non sono stati riscontrati neppure i presupposti per l' esperimento di una azione in sostituzione del proprio debitore, in quanto l' azione surrogatoria prevista dall' art. 2900 del codice civile non è adattabile ed applicabile al giudizio amministrativo.

Il Collegio ricorda che L' art. 2900 del c.c. stabilisce che "Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi".

Costituiscono quindi presupposti inderogabili della proposizione dell'azione surrogatoria: a) la qualità di creditore del soggetto agente; b) la titolarità in capo al debitore di un diritto o azione, di natura patrimoniale, non sottratto all'intervento surrogatorio dei creditori, verso un terzo; c) l'inerzia del debitore; d) il pericolo di danno che, dal comportamento omissivo del debitore, può derivare alle ragioni del creditore; e) la dimostrazione che non si tratta di diritti od azioni, che per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

Per giustificare l'esercizio dell'azione surrogatoria non è quindi sufficiente che il debitore trascuri la realizzazione dei suoi diritti e che la sua inerzia possa avere effetti negativi sulla garanzia costituita dal patrimonio del debitore: esso deve anche dimostrare che è titolare della legittimazione processuale ad agire in giudizio.

Invero l'azione surrogatoria regolata dall'art. 2900 del c.c., consentendo al creditore di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore, che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il suo patrimonio, conferisce al creditore stesso la legittimazione all'esercizio di un diritto altrui, ed ha perciò carattere necessariamente eccezionale, potendo essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge.

L'istituto della surroga è quindi, per tali sue peculiarità, applicabile solo ai casi da detto articolo espressamente considerati e non è suscettibile di essere esteso per analogia ad altre fattispecie.

Al contrario l' istituto non può essere applicato in caso di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possano che essere esercitati solo dal loro titolare.

O, ancora,  qualora  manchi in capo alla parte ricorrente il requisito della titolarità di una azione di carattere specificamente e direttamente patrimoniale, oppure, come in questo caso,  la posizione direttamente a tutela della quale si agisce sia  di sostanziale interesse legittimo, essendo volta all'annullamento del provvedimento di revoca del decreto di concessione del contributo ed ad ottenere il rinnovo del collaudo dei lavori eseguiti.

 

Consiglio di Stato (Sezione Quinta) - SENTENZA N. 02439/2014
Gerolamo Taras - dott.ninotaras@gmail.com - Altri articoli di questo autore

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