Per la Cassazione, tale condotta rende legittima anche la condanna a risarcire il ristorante per il danno arrecato

Violenza privata e risarcimento danni

Non c'è giustificazione per la condotta di chi blocca le auto degli invitati ad un matrimonio, obbligandoli ad arrivare a piedi al ristorante. Si tratta di un comportamento catalogabile, senza ombra di dubbio, come violenza privata che vale anche la condanna a pagare il risarcimento del danno arrecato al ristorante. E' quanto si ricava dall'ordinanza n. 6494/2023 (sotto allegata) della sesta sezione civile della Cassazione.

Così la Corte ha chiuso una vicenda che ha visto in contrapposizione una donna e i gestori di una location usata per i ricevimenti nuziali. La donna era finita sotto accusa per aver sostato, in occasione di una festa di nozze, deliberatamente il proprio veicolo sulla strada in modo da impedire ai clienti della società di raggiungere in auto il luogo della cerimonia. Ciò aveva costretto i partecipanti a percorrere un tratto di strada a piedi, con disagi e danno all'immagine della società stessa. La società faceva presente infatti che all'immobile era possibile accedere soltanto attraverso una strada molto stretta. La convenuta si difendeva chiedendo il rigetto della domanda ma entrambi i giudici di merito non avevano dubbi sul fatto che la condotta della donna integrasse gli estremi del reato di cui all'art. 610 c.p. che la obbligava perciò al risarcimento del danno. Dalle prove testimoniali e dalle fotografie allegate agli atti emergeva infatti il dolo emulativo della stessa, che volutamente e callidamente parcheggiò la propria automobile in modo da impedire ai partecipanti alla festa di nozze di arrivare con mezzi a motore fino all'ingresso del luogo di destinazione.

Gli Ermellini confermano le sentenze di merito. Intanto, ritengono le censure inammissibili in quanto tese ad una nuova valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti non consentite in sede di legittimità.

Inammissibili anche la doglianza sulla liquidazione del danno compiuta dal tribunale, nonché sulla sussistenza del reato di cui all'art. 610 c.p.

Nè tantomeno può prospettarsi il concorso di colpa con la società, asserito dalla ricorrente, posto che il danno oggetto del contendere è stato richiesto da una società commerciale, e il concorso di colpa di cui all'articolo 1227 c.c. è soltanto quello che proviene dalla parte danneggiata, e non da terzi.

Né rileva, sostengono infine dal Palazzaccio, il principio sostenuto dalla ricorrente "che non ha riscontro nell'ordinamento: quello secondo cui sarebbe consentito danneggiare il prossimo, per reagire a condotte 'maleducate'".

Sul punto, la S.C., infatti, "ha più volte affermato che l'art. 1227 c.c. non è applicabile nell'ipotesi di provocazione da parte della persona offesa

del reato, in quanto la determinazione dell'autore del delitto, di tenere la condotta illecita che colpisce la persona offesa, costituisce causa autonoma del danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale (ex plurimis, Cass. n. 5679/2016; n. 20137/2005).

Da qui il rigetto integrale del ricorso e la condanna alle spese.

Scarica pdf Cass. n. 6494/2023

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