- Difesa in sede penale e compenso del praticante
- Contratto nullo per esercizio abusivo della professione
- Contratto valido ma compensi dovuti solo per attività legittimata
Difesa in sede penale e compenso del praticante
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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20108/2022 (sotto allegata) precisa che al praticante avvocato che difende il proprio assistito in un procedimento penale spetta il compenso stabilito dal decreto ministeriale 127/2004 solo in relazione all'attività per la quale lo stesso è legittimato.
Nessun compenso pertanto per l'attività svolta davanti al tribunale del riesame in quanto organo collegiale. Il conferimento dell'incarico all'avvocato che all'epoca dei fatti era praticante e quindi non iscritto all'albo è infatti valido.
Lo stesso tuttavia può esercitare solo determinate attività e nei limiti previsti dalla legge 479/1999, ma per queste ha diritto a un compenso pari a quello dell'avvocato iscritto, ma ridotto alla metà. Per cui se lo stesso ha esercitato attività difensiva legittima e nei limiti che l'ordinamento pone alla sua attività lo stesso ha diritto al relativo compenso.
La vicenda processuale
Un avvocato ottiene un decreto ingiuntivo di oltre 2000 euro per ottenere il pagamento del compenso professionale per l'attività esercitata nell'interesse di un soggetto in un procedimento penale. L'assistito si oppone al decreto e il compenso per l'avvocato viene ridotto a poco più di 600 euro. A sostegno della sua richiesta l'opponente fa presente che quando l'avvocato ha svolto le prestazioni in suo favore non era in realtà ancora abilitato all'esercizio della professione davanti agli organi collegiali. Tutta la prestazione che il legale aveva svolto davanti al Tribunale del riesame doveva pertanto ritenersi nulla.
Lo stesso fa presente inoltre di aver corrisposto all'avvocato la somma di 208,26 euro per l'attività svolta legittimamente e ritiene inoltre di avere diritto al risarcimento del danno per violazione della buna fede precontrattuale. In sede di appello il Tribunale riduce la somma dovuta all'avvocato e da essa detrae l'acconto già versato di Euro 208,26 perché in effetti all'epoca dei fatti la stessa non era ancora abilitata a patrocinare davanti al Tribunale del riesame, in quanto organo collegiale.
Vero tuttavia che l'avvocato era idonea ad assumere la difesa in relazione al reato contestato nella fase precedente del giudizio perché in quel caso la pena detentiva massima di un anno era ben al di sotto del limite dei 4 anni di reclusione, limite massimo di pena prevista per i reati in relazione ai quali i praticanti possono esercitare la difesa. Da qui il riconoscimento in suo favore di Euro 572,84, da cui detrarre sempre i 208,26 Euro già versati. Respinta invece la richiesta risarcitoria.
Contratto nullo per esercizio abusivo della professione
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Non accettando l'esito de giudizio di appello parte soccombente ricorre in Cassazione sollevando i motivi di ricorso che si vanno ad illustrare.
- Con il primo sostiene che il contratto stipulato con la praticante debba considerarsi nullo perché la stessa ha speso abusivamente il titolo di avvocato. Denuncia inoltre la violazione dell'articolo 2231 c.c. perché il prestatore di attività professionale non iscritto a un albo o a un elenco non può agire giudizialmente per il pagamento del compenso. A ulteriore conferma della nullità c'è poi l'impossibilità per un praticante avvocato di autenticare la firma del cliente sul mandato. L'unica possibilità di azione per un praticante è di sostituire il titolare della difesa in udienza.
- Con il secondo contesta invece la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 127/2004 perché nel caso di specie al praticante non poteva essere riconosciuto il compenso per intero per l'attività svolta innanzi al Tribunale in composizione monocratica, ai praticanti non abilitati spetta infatti la metà del compenso.
- Con il terzo lamenta il mancato riconoscimento del risarcimento del danno perché a suo dire la condotta dell'odierno avvocato ha integrato all'epoca dei fatti il reato di esercizio abusivo della professione, senza contare il rilievo deontologico della condotta.
- Con il quarto infine il ricorrente denuncia l'omessa pronuncia sulla richiesta di restituzione degli importi già corrisposti in esecuzione della sentenza di primo grado, detratta la somma dovuta al praticante per il compenso effettivamente riconoscibile e nei limiti dell'attività legittimamente svolta nel suo interesse.
Contratto valido ma compensi dovuti solo per attività legittimata
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La Corte di Cassazione adita, in relazione ai motivi sollevati si pronuncia nei termini che si vanno a illustrare.
Il primo motivo per la cassazione è infondato perché il contratto di opera professionale stipulato tra il cliente e il professionista legale non abilitato deve ritenersi legittimo. Il praticante ha ricevuto nel caso di specie il legittimo conferimento dell'incarico con procura speciale e lo stesso ha agito per difendere l'assistito in relazione ad un reato che la legge contemplava di sua competenza. Il praticante nella prima fase del giudizio doveva quindi ritenersi competente in quanto la difesa è stata esercitata di fronte a un organo monocratico. Il contratto non può quindi ritenersi nullo fin dall'inizio, ma solo in relazione all'attività svolta davanti al tribunale collegiale del riesame.
Il secondo motivo è invece fondato. In effetti ha errato il giudice nell'applicare in favore del praticante le tariffe che vengono previste per l'attività difensiva degli avvocati abilitati ,spettando ai praticanti gli stessi onorari, ma nella misura della metà.
Infondata invece la terza doglianza.Corretto il mancato riconoscimento del danno richiesto dal cliente in quanto lo stesso non ho provato la sussistenza di alcun danno derivante dalla prestazione professionale resa dalla praticante.
Fondato invece, come il secondo, il quarto motivo. Il Tribunale in effetti non si è pronunciato in sede di appello, sulla domanda relativa alla restituzione dell'importo corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado.
Scarica pdf Cassazione n. 20108/2022