Come si effettua il sindacato sull'eccesso di potere della PA e quali sono gli strumenti a disposizione del privato leso dal provvedimento amministrativo

L'evoluzione del diritto amministrativo

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Negli ultimi anni il diritto amministrativo ha subito radicali mutamenti derivanti dall'influsso degli innovati principi dell'Unione Europea e dai plurimi interventi del nostro legislatore. In particolare, grazie all'introduzione della legge 241/1990 e D.lgs. nr. 104/2010 sono state introdotte una serie di tutele e garanzie per il cittadino nei confronti del potere esercitato dalle P.A. In tal modo, sono stati garantiti i principi della partecipazione, trasparenza, buon andamento e il giusto processo così tutelando pienamente il privato nei casi dicomportamento scorretto o illegittimo delle pubbliche amministrazioni.

L'eccesso di potere

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Una delle categorie emblematiche in tema di provvedimento illegittimo è l'ipotesi di eccesso di potere. Essa costituisce una peculiare causa di annullamento del provvedimento amministrativo ex art. 21 octies l. 241/90 sulla quale si è soffermata la giurisprudenza sancendo delle ipotesi tipiche tra cui rientra la violazione del principio di proporzionalità.

Invero, la tematica dell'annullamento per eccesso di potere necessita di essere integrata dall'ulteriore questione della sua sindacabilità dinnanzi all'autorità giudiziaria o amministrativa e del relativo contenuto di tale potere. Sicché appare necessario dare una definizione del predetto vizio e della sua regolamentazione alla luce delle norme generali sull'azione amministrativa e della sua evoluzione storica.

La locuzione eccesso di potere è stata coniata per la prima volta nella l. 371/1877 recante "Norme sui conflitti di attribuzione". Ad onor del vero l'eccesso di potere veniva inquadrato come ipotesi di straripamento di potere o di incompetenza assoluta da parte dell'amministrazione procedente.

La l. 371/1877 aveva così ammesso un seppure limitato sindacato del giudice sulle scelte discrezionali dell'Amministrazione procedente.

Nei primi anni del Novecento la dottrina e la giurisprudenza hanno fornito una diversa qualificazione giuridica di tale vizio distinguendola, innanzitutto, dalle ipotesi di incompetenza e violazione di legge.

Si ha incompetenza relativa quando viene violata la norma che attribuisce il potere di procedere ad un determinato organo o ufficio della P.A.; la violazione di legge rappresenta un'ipotesi residuale ravvisabile in tutte quelle situazioni in cui vengono violate norme dell'ordinamento interno o comunitario.

Come definire l'eccesso di potere

Ben più complesso risulta definire la categoria dell'eccesso di potere in quanto è stata oggetto di quattro differenti teorie: vizio della volontà; vizio dei motivi; vizio della causa; vizio della funzione.

In primo luogo è necessario precisare che l'eccesso di potere è ravvisabile esclusivamente quando la P.A. ha margini di discrezionalità amministrativa; viceversa, nei casi di attività vincolata saremmo sempre dinnanzi ad una violazione di legge in quanto è la stessa norma attributiva del potere a disciplinare compiutamente l'azione amministrativa.

Secondo una prima impostazione dottrinale l'eccesso di potere sarebbe un'ipotesi di vizio della volontà della P.A. intesa come non corretta formazione della scelta derivante da errore, violenza e dolo. La predetta ricostruzione è stata aspramente criticata poiché frutto di una ricostruzione civilistica ancorata ai parametri psicologici propri della volontà contrattuale dei privati. Infatti, nonostante sia vero che il procedimento amministrativo costituisca il processo di formazione delle determinazioni della P.A., questo è radicalmente differente dalla volontà maturata dai contraenti in sede contrattuale. Il privato matura la scelta nel suo intimo mediante un processo meramente cognitivo; l'Amministrazione, invece, segue norme di diritto pubblico, istaura una procedura complessa, acquisisce pareri e regola l'istruttoria analizzandone i presupposti di fatto e di diritto.

Altrettanto errata allora appare anche la tesi del vizio dei motivi in quanto se il procedimento amministrativo non è espressione di volontà non può essere nemmeno dei motivi stessi.

Una diversa dottrina configura l'eccesso di potere quale vizio della causa del provvedimento amministrativo. Anche tale ipotesi è stata criticata poiché fa coincidere il provvedimento al contratto di diritto privato non tenendo conto che il primo non possiede tale requisito. Invero, la finalità del procedimento amministrativo è sempre la tutela dell'interesse pubblico; inoltre, l'impostazione in questione stride con il merito amministrativo e con il ventaglio di scelte della amministrazione procedente.

Vizio della funzione

Evidente quindi che la tesi più convincente sia quella che concepisce l'eccesso di potere quale vizio della funzione. Secondo questa impostazione, sussiste un vizio di legittimità del procedimento non per la violazione del fine tipico ma per il mancato rispetto dei principi giuridiche giuridici che regolano l'azione amministrativa ex art. 97 Cost. e art. 1 ss. L. 241/90.

Sicché l'annullamento per eccesso di potere non rappresenta un giudizio di legalità formale sull'atto ma di legalità sostanziale avente ad oggetto la coerenza e razionalità delle decisioni dell'Amministrazione nell'esercizio del suo potere discrezionale. In definitiva la patologia in esame non configura più un'ipotesi di straripamento di potere bensì di sviamento rispetto al fine prefissato dalla norma attributiva del potere stesso a causa delle violazioni dei principi regolatori dell'agere amministrativo.

La giurisprudenza amministrativa, dopo aver nei termini sopra esposti dato una definizione di eccesso di potere, a cercato di individuare delle ipotesi sintomatiche mediante la creazione di "spie di allarme" espressione dell'irragionevolezza, illogicità e coerenza delle scelte della P.A. Preme sottolineare che gli indicatori di matrice giurisprudenziale sono atipici e non tassativi sicché, aldilà della loro presenza, è possibile chiedere l'annullamento del provvedimento non rispettoso dei parametri giuridici dell'azione amministrativa.

Sproporzionalità del provvedimento

Fra le numerose ipotesi sintomatiche (difetto istruttoria, carenza motivazionale, travisamento dei fatti ecc.) rileva il vizio concernente la sproporzionalità del provvedimento per la violazione dei requisiti di idoneità, necessarietà e stretta proporzionalità della decisione della P.A.

In primo luogo, è necessario sottolineare che nel diritto interno il requisito della proporzionalità è stato per lungo tempo assimilabile alla ragionevolezza della scelta dell'Amministrazione. Secondo questa impostazione, poteva essere richiesto l'annullamento del provvedimento nel caso in cui la scelta dell'Amministrazione fosse contraddittoria ovvero irragionevole in spregio all'interesse oppositivo del privato leso da un provvedimento ablatorio o sanzionatorio.

Di differente avviso è l'impostazione maturata in sede comunitaria secondo cui la ragionevolezza fosse un criterio differente e meno ampio rispetto alla proporzionalità che necessita di tre requisiti indefettibili: l'idoneità; la necessarietà; stretta proporzionalità.

Il provvedimento si intende idoneo quando questi è capace di raggiungere concretamente l'interesse pubblico sotteso alla legge attributiva del potere. Invece, la necessarietà riguarda la scelta dell'atto emesso poiché più mite ovvero meno lesivo dell'interesse del privato data l'assenza di altre condotte alternative. Infine, la stretta proporzionalità ha come oggetto la comparazione quantitativa e qualitativa dell'interesse pubblico con quello privato da cui deriva la legittimità dell'atto se comporta un sacrificio minimo e tollerabile per quest'ultimo.

Concezione paritaria

Tali caratteri derivano da una visione paritaria fra lo Stato-Amministrazione e il privato improntato sui principi di buona fede, lealtà e correttezza dell'azione amministrativa secondo cui l'interesse pubblico tende a sovrapporsi con l'interesse del privato. Tale concezione paritaria viene raggiunta mediante la lettura del combinato disposto degli artt. 6 e 7 CEDU che garantiscono una concreta partecipazione del privato al procedimento amministrativo tramite le guarentigie del giusto processo.

Allora appare evidente l'ontologica differenza fra difetto di ragionevolezza e proporzionalità in quanto, la prima deriva da una contraddizione motivazionale o da una illogicità della scelta dell'Amministrazione. La seconda ha ad oggetto un'analisi più complessa che passa mediante l'accertamento dell'idoneità dell'atto rispetto allo scopo, alla sua necessità e, infine, al bilanciamento con l'interesse oppositivo del privato secondo i criteri del minor sacrificio e della tollerabilità.

Il sindacato sull'eccesso di potere

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Alla luce delle considerazioni sopra esposte, adesso si può entrare nel cuore della questione concernente il sindacato giurisdizionale o amministrativo sull'eccesso di potere.

Preliminarmente va precisato che non sono soggetti a sindacato giurisdizionale gli atti politici quali atti espressione della volontà politica e, quindi, liberi nel fine; del resto è lo stesso art. 7 del c.p.a. a sancire espressamente che gli atti o i provvedimenti emanati dal Governo non sono soggetti a sindacato giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo. La ratio della norma si fonda sul principio di separazione dei poteri e sulla responsabilità politica generale del Governo ex art. 95 Cost.

Diverso è il caso di sindacato nei casi di eccesso di potere che presuppone sempre l'esercizio discrezionale del potere da parte dell'amministrazione procedente; di conseguenza il giudice vaglierà la legittimità del procedimento senza la possibilità di attribuire il bene della vita salvo per le ipotesi contemplate nell'art. 134 c.p.a.

Infatti, nei casi di giurisdizione di merito il giudice non solo può conoscere i vizi di legittimità ma ha anche il potere di sostituirsi alla P.A. attribuendo egli stesso il bene della vita reclamato dal privato.

In tutti gli altri casi, l'organo giudicante potrà meramente valutare le cause di illegittimità del provvedimento ordinando all'amministrazione di conformarsi a quanto statuito nella sentenza. Sul tema sono recentemente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali hanno stabilito che si in presenza di un'ipotesi di sconfinamento del potere del giudice a danno della P.A. quando questi entri nel merito del rapporto tra l'Amministrazione ed il privato. Difatti, la diretta valutazione sulla convenienza e l'opportunità dell'atto è ammessa esclusivamente nei casi di giurisdizione di merito, sicché negli altri casi il giudice si dovrà limitare a valutare se la P.A. abbia rispettato le regole giuridiche di buona amministrazione ex art. 97 Cost. e artt. 1 e ss. L. 241/90.

Conseguenze della violazione delle regole giuridiche

La violazione delle regole giuridiche però non comporta sempre l'annullamento del provvedimento emanato in ragione del disposto del secondo comma dell'art. 21 octies l. 241/90 il quale sancisce la non annullabilità del provvedimento quando il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato. La norma in questione rappresenta un innovativo cambio di paradigma del sindacato sugli atti amministrativi che non si basa più sul mero aspetto della legittimità formale ma sul concreto interesse della parte lesa. Infatti se il provvedimento è frutto di una procedura viziata poiché in violazione delle regole giuridiche, ma il suo contenuto sarebbe stato comunque lo stesso, questo non è annullabile. Allora la ratio della norma appare evidente: evitare annullamenti inutili derivanti da vizi incapaci di influire sulla pretesa del bene della vita.

Tale ipotesi di "sanatoria o salvezza" dell'atto amministrativo è particolarmente diffusa nei casi di attività vincolata poiché tutti i profili dell'azione della P.A. sono disciplinati nello specifico dalla legge attributiva del potere.

Interesse legittimo oppositivo del privato

Molto più complessa è la questione dei limiti del sindacato del giudice quando il privato richieda l'annullamento del provvedimento per la violazione del principio di proporzionalità poiché strettamente connessa ad un interesse legittimo oppositivo del privato verso un provvedimento ablatorio o sanzionatorio. In tali casi, il procedimento amministrativo muta divenendo sovrapponibile al processo penale dove le garanzie del cittadino sono particolarmente puntuali e garantiste. Infatti, non solo è assicurato un contraddittorio rafforzato ma entrano in gioco anche i principi di legalità, riserva di legge, tassatività, determinatezza e retroattività favorevole ex artt. 6, 7 CEDU e artt. 24, 111 Cost. Secondo la Corte di Strasburgo quando l'autorità amministrativa adotta un provvedimento sanzionatorio, e non meramente ripristinatorio o demolitorio, è qualificabile come un "tribunale" e i suoi atti sono delle "sentenze". Sicché se i sopra esposti principi venissero lesi, possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale con il conseguente annullamento dell'atto amministrativo.

Inoltre, il giudice dovrà verificare se l'amministrazione, nell'esercizio del suo potere, abbia rispettato il principio di proporzionalità in tutti i suoi tre requisiti costitutivi: idoneità, necessarietà e stretta proporzionalità.

Quindi, ad esempio se la P.A. volesse costruire una struttura pubblica dovrà innanzitutto valutare se il procedimento amministrativo sia idoneo al raggiungimento dello scopo; successivamente dovrà valutare quale sia la soluzione migliore capace di raggiungere l'obiettivo. Infine, dovrà valutare se quel provvedimento, oltre ad essere idoneo e necessario, comporti anche il minor sacrificio possibile per il privato e comunque che questi sia tollerabile.

In caso di mancato rispetto di uno dei predetti requisiti l'atto sarebbe annullabile per il vizio di eccesso di potere e, segnatamente, per la violazione del principio di proporzionalità fatta salva l'ipotesi salvifica contemplata nel secondo comma dell'art. 21 octies della l. 241/90.

Nuova edizione del potere dell'amministrazione

Un'ulteriore questione particolarmente rilevante riguarda il sindacato giurisdizionale in caso di nuova edizione del potere dell'Amministrazione a seguito di una prima decisione del giudice amministrativo su un provvedimento illegittimo. In tale circostanza, dato che si tratta di attività discrezionale, il giudice non attribuirà il bene della vita ma si limiterà ad annullare il provvedimento invitando l'Amministrazione a conformarsi a quanto stabilito nella sentenza. Tuttavia, la stessa avrà ancora dei margini discrezionali sui punti non oggetto di sindacato giurisdizionale e potrà, in ogni caso, riesercitare il potere attribuendo il bene della vita o negandolo motivando le ragioni che hanno portato a tale scelta.
Se la P.A. dovesse non conformarsi a quanto statuito nella sentenza, allora sarà possibile per la parte lesa chiedere la nullità del nuovo provvedimento ex art. 21 septies l. 241/90 per elusione di giudicato con la possibilità di istaurare un giudizio di ottemperanza nel quale il giudice potrà sostituirsi all'Amministrazione attribuendo il bene della vita.
Viceversa, nel caso in cui venga emesso un nuovo provvedimento sfavorevole al privato per altre ragioni non oggetto del primo sindacato giurisdizionale, il privato dovrà ricorrere al giudice affinché si pronunci sulle ulteriori violazioni delle regole giuridiche.

Il principio del "one shot temperato"

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Sul tema è intervenuta di recente l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha stabilito il c.d. principio del "one shot temperato" secondo il quale l'Amministrazione ha solo una seconda possibilità di esercizio di potere e, in quella sede, deve enunciare tutte le ragioni che hanno portato al diniego del bene della vita richiesto dal privato. Secondo l'Adunanza Plenaria il potere amministrativo si esaurisce dopo la riedizione di questo con la conseguenza che il giudice amministrativo potrà attribuire egli stesso il bene della vita. Appare evidente che il principio del "one shot temperato" sia rivolto ad evitare abusi da parte delle P.A. consistenti nella reiterazione di provvedimenti negativi al cittadino ognuno basato su motivazioni diverse. E' palese che tale comportamento leda i principi di buona fede, correttezza, lealtà, legittimo affidamento e buon andamento della amministrazione ex art. 97 Cost., art. 1 l. 241/90.

La anzidetta ricostruzione è stata aspramente criticata da parte della dottrina la quale sottolinea come manchi un fondamento legale concernente la perdita del potere e l'obbligo di motivare compiutamente la riedizione del potere da parte dell'Amministrazione. Inoltre, non ha altrettanto fondamento legale il potere del giudice amministrativo di attribuire il bene della vita vantato dal privato.

Infine, è stato anche evidenziato che il principio in questione ammette deroghe derivanti dalle sopravvenienze di fatto e di dritto le quali possono condurre ad altri nuovi esercizi del potere per una più completa tutela dell'interesse pubblico.

Rimedi per il privato

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Il sindacato del giudice può estendersi, in base alle domande del privato, anche all'azione di risarcimento danni mediante un'azione di condanna ex art. 30 c.p.a.; l'azione in questione ha subito negli anni un radicale mutamento tale da renderla autonoma rispetto all'azione di annullamento al fine di un più concreto ed effettivo interesse del privato.
L'azione di risarcimento del danno può essere richiesta entro centoventi giorni dal momento di verificazione del fatto o dalla conoscenza del provvedimento seguendo le regole del art. 2043 c.c. con la conseguenza che spetterà al ricorrente l'onere della prova del nesso causale, colpa o dolo della P.A. e del danno conseguenza.

Ai sensi dell'art. 30, 133 lett. a) nr.1) c.p.a. il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva su tutte le richieste di risarcimento del danno derivanti da lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi per le materie di giurisdizione esclusiva.

Oltre al sindacato giurisdizionale, il cittadino può richiedere che sia la stessa P.A. che ha emesso l'atto di saggiarne la sua validità o convenienza mediante il potere di intervenire in autotutela. Tale prerogativa però è altamente discrezionale in quanto spetterà esclusivamente all'Amministrazione valutare la convenienza, ragionevolezza e logicità di annullare un suo antecedente atto ex art. 21 nonies l. 241/90. L'annullamento d'ufficio è esperibile solo in presenza del requisito dell'interesse pubblico e comunque entro un termine ragionevole, in ogni caso, non superiore ai diciotto mesi dal momento dell'adozione del provvedimento.

Anche per l'annullamento in autotutela vale la regola di salvezza espressa dal secondo comma dell'art. 21 octies secondo cui non è annullabile il provvedimento se il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

Infine, il privato può esperire il ricorso in unica istanza all'organo sovraordinato alla P.A. procedente avverso i provvedimenti non definitivi lesioni della sua situazione giuridica soggettiva. Il rimedio in questione è il c.d. ricorso gerarchico previsto dal D.P.R. nr. 1199/1971 al Capo I, art. 1 che permette all'organo gerarchicamente superiore (ricorso gerarchico proprio) o ad altro organo competente (ricorso gerarchico improprio) di poter sindacare i motivi di legittimità e di merito del provvedimento.

La procedura in questione oltre ad attribuire un sindacato forte all'Amministrazione sovraordinata, attribuisce anche ampi poteri di sospensione dell'esecuzione del provvedimento e di istruttoria.

Similare al predetto procedimento è il ricorso in opposizione contemplato dal D.P.R. nr. 1199/1971 al Capo II, art. 7 che richiama le norme in materia di ricorso gerarchico tra cui il sindacato forte sulla legittimità e il merito del primo provvedimento emesso dalla P.A.

L'unica evidente differenza che intercorre fra il ricorso gerarchico e quello in opposizione e che, il primo viene proposto all'autorità gerarchicamente superiore; il secondo, invece, viene presentato all'organo che ha emanato l'atto impugnato.

In definitiva il cittadino leso da un atto dell'Amministrazione ha una pluralità di strumenti esperibili al fine di salvaguardare compiutamente la sua situazione giuridica soggettiva; infatti, il diritto amministrativo moderno non solo contempla una pluralità di procedimenti ma munisce il giudice o l'amministrazione interpellata di un sindacato particolarmente incisivo. Del resto il controllo sulla legittimità o sul merito degli atti rappresenta una prerogativa imprescindibile per il nostro Stato di diritto derivante dai principi sanciti agli artt. 24, 97, 111 Cost. e dagli artt. 6,7 CEDU.


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