Confortanti aperture della Cassazione verso la piena tutela dei diritti dei figli minorenni, ma all'interno della sua antica concezione dell'affidamento condiviso, ancora distante dalla autentica bigenitorialità

L'accoglienza

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L'ordinanza n. 28723 del 16 dicembre 2020 ha ricevuto finora un'accoglienza unanimemente volta a dichiarare e sottolineare un presunto rafforzamento della bigenitorialità, per effetto della positiva valutazione delle lagnanze di un padre alienato e dei richiami ai diritti dei figli così come enunciati dalla Corte di Strasburgo. A ben esaminare il provvedimento, tuttavia, questo tipo di commento non sembra cogliere nel segno. È fuori discussione che la Suprema Corte abbia voluto andare in quella direzione, che si sia proposta un intervento a tutela della duplice genitorialità, aderendo ad alcune affermazioni della Corte EDU, con ciò differenziandosi in parte da precedenti posizioni della giurisprudenza, a partire da quelle prese dalla corte d'appello di Firenze rispetto alle quali era stata consultata.

Resta il fatto, tuttavia, che si è ancora terribilmente lontani da una applicazione fedele della riforma del 2006. È come se una persona innocente, condannata inizialmente alla pena di 100 frustate, appellandosi a un giudice superiore gli sentisse dichiarare "No, è ingiusto. Diamogliene solo 80". Il momentaneo sollievo del malcapitato sarebbe comprensibile, ma certamente non si potrebbe affermare che è stata fatta giustizia.

Aspetti positivi

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Ma, andiamo per gradi. Ci sono effettivamente elementi di soddisfazione nell'ordinanza. Già la corte d'appello di Firenze aveva nominato un curatore speciale: una scelta che assicura maggiori tutele - soprattutto quando si teme un conflitto di interesse con i genitori, uno solo o entrambi - che può accorciare i tempi del processo e facilita il compito del giudice. E di ciò la Cassazione si compiace, deprecando che le sue richieste non siano state accolte.

Allo stesso modo è apprezzabile che la Suprema Corte restituisca piena legittimità e dignità alla contestazione di quei casi in cui il rifiuto di un figlio di frequentare un genitore sia da attribuire alle pressioni e ai condizionamenti subiti da parte dell'altro genitore. Pur utilizzando un termine - "Parental Alienation Syndrome" - ormai superato e abbandonato dalla scienza che parla solo di alienazione genitoriale eliminando il riferimento alle sindromi, non ci si può che compiacere dell'avere in concreto neppure considerato l'ingenua e inconsistente obiezione secondo la quale, non potendosi più caratterizzare quei comportamenti come dovuti a una "sindrome" il fenomeno stesso non esisterebbe. Così come si fa apprezzare la critica rivolta alla corte di merito per non avere proceduto all'ascolto del minore. Anche se, lo colloca, erroneamente, tra i mezzi di prova: "… i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte del figlio e sono venuti meno all'obbligo di verificare, in concreto, l'esistenza dei denunciati comportamenti volti all'allontanamento fisico e affettivo del figlio minore dall'altro genitore, potendo il giudice di merito, a tal fine, utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia, ivi compreso l'ascolto del minore". Un esempio, purtroppo, della fatica del sistema legale nel riconoscere il figlio minorenne come persona; e persona portatrici di diritti, anche indisponibili.

I ritardi dell'Italia e dell'Europa

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Fin qui i pregi del provvedimento. E, come si vede, non è stato possibile neppure accennare a ciò che ha dato luogo al più largo apprezzamento, ovvero che ci sia stato un intervento a favore della bigenitorialità. Il motivo è dei più semplici: perché nel momento stesso in cui la Suprema Corte tenta di difenderla ne dà una definizione che ricalca gli antichi pregiudizi; perché utilizza una terminologia impropria; perché non batte ciglio nel riportare citazioni infedeli del testo di legge (del ricorrente stesso!) che lo modificano in senso monogenitoriale.

Inevitabile, a questo punto, rammentare che gli interventi della Corte EDU soffrono delle medesime carenze presenti nell'ordinanza, per cui è comprensibile che la Suprema Corte li abbia citati a sostegno della propria posizione, ma resta il fatto che in sostanza un errore non può trovare giustificazione in un identico errore altrui.

È, anzi, irresistibile la tentazione di procedere all'inverso. Poiché a livello europeo si riconosce in questa materia l'autonomia legislativa dei singoli Stati e quando la corte di Strasburgo interviene a carico del nostro paese lamentando il mancato rispetto dell'articolo 8 della Convenzione EDU può farlo soltanto per casi specifici e non può chiedere la modifica delle leggi nazionali, una volta constatato che prassi e concetti risultano inadeguati a livello sia italiano che europeo appare auspicabile e sicuramente opportuno che l'Italia, dopo avere modificato la propria legislazione interna in senso più evoluto, prenda poi l'iniziativa per un aggiornamento a livello internazionale.

Le anomalie dell'idea di bigenitorialità

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Entrando nel merito ed esaminando separatamente le singole criticità è da osservare anzitutto come lo stesso ricorrente non abbia una chiara nozione dei diritti che rivendica:" il ricorrente censura la violazione del principio della bigenitorialità, cioè del diritto del bambino di avere un rapporto tendenzialmente equilibrato ed armonioso con entrambi i genitori". Non è questa la definizione che la legge dà del rapporto con i genitori. L'articolo 337 ter c.c. definisce tale rapporto come "equilibrato" e continuativo: e in modo da costituirne un diritto indisponibile del figlio. L'attenuazione "tendenzialmente" non esiste. Ma la Cassazione non se ne accorge. Forse è una sua stessa aggiunta, nel riassumere le lagnanze del ricorrente.

Passando alle criticità relative alla terminologia comuni con la Corte EDU, entrambi gli organismi utilizzano con assoluta disinvoltura e fiducia concetti come quello di genitore "collocatario" e "diritto di visita". Concetti, non solo termini; perché adoperarli significa schierarsi all'interno di tutto un sistema arcaico, prettamente monogenitoriale, con un genitore prevalente, con il quale i figli vivono, e un altro, esterno, che quando li vuole vedere deve suonare il campanello di casa: della loro "unica" casa. Ad esempio: "il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui ". Oppure: "mancando nel contempo di apprezzare, avuto riguardo alla posizione del genitore collocatario, che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore". Un perfetto omaggio alla discriminazione.

Non a caso, quando va a sviluppare il concetto della bigenitorialità sempre più si cala nell'antico, nella "consolidata" devianza:

"… questa Corte di legittimità ha più volte affermato che, nell'interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi". Purtroppo è esattamente la stessa identica definizione utilizzata da Cass. 6713/2020, la quale però, oltre ad esprimersi con le medesime parole, sviluppa il concetto e specifica cosa intende per "stabilità" e come intende che debba realizzarsi la bigenitorialità, in una sorta di crescendo. Premessa la discriminazione tra i genitori, convivente e non, e abbassato al rango di "significativo" il rapporto con quello "esterno" ("Al diritto del genitore non convivente di continuare a mantenere rapporti significativi con i figli minori corrisponde, in via speculare, il diritto dei figli di continuare a mantenere rapporti significativi con il primo), conclude rivendicando la libertà per entrambi di fare a meno perfino di frequentarsi, anche unilateralmente: "rimarca, in via speculare, il carattere non obbligato ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore, il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata".

Una affermazione che, oltre tutto, non specificando di quale genitore si tratta (e come potrebbe farlo, se l'affidamento è a tutti e due?) implicitamente consente ad entrambi di disinteressarsi del figlio, lasciandolo senza famiglia.

Certo, qualcuno obietterà che questa è la posizione di Cass. 6713/2020 ma, a parte il fatto che Cass. 28723/2020 giunge dopo pochi mesi, non può che preoccupare il modo in cui quest'ultima introduce l'identica definizione di bigenitorialità che viene data dalla precedente ordinanza (anche se non citata): "questa Corte di legittimità ha più volte affermato che, …" (v. sopra). Quindi aderisce anche al resto.

Davvero difficile vederne rafforzati i diritti dei figli.

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