La riforma dei reati tributari ha conseguenze sull'applicazione delle misure coercitive. Si rischia la custodia cautelare per l'omessa dichiarazione

di Lucia Izzo - La riforma dei reati tributari operata dal decreto fiscale collegato alla manovra di Bilancio (D.L. n. 124/2019), definitivamente convertito in legge e in vigore dal 25 dicembre 2019, ha inasprito le pene per gran parte dei reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000.

L'impianto riformatore, spinto dallo slogan "manette agli evasori" ha inoltre abbassato alcune soglie di punibilità e introdotto, in caso di condanna, la confisca dei beni di cui il condannato abbia disponibilità per un valore sproporzionato al proprio reddito (c.d. confisca allargata).

Per approfondimenti I nuovi reati tributari

Il ritocco alle cornici edittali dei reati tributari ha anche effetti ulteriori tra cui quello di applicare, in riferimento a taluni illeciti, regole procedurali e alcune misure tra cui, ad esempio, quelle coercitive previste nel codice di procedura penale (Libro Quarto, Titolo I, Capo II), diverse dalla custodia cautelare in carcere.

Si tratta, tra le altre, di divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (282 c.p.p.) e arresti domiciliari (284 c.p.p.).

Misure coercitive

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L'art. 280 c.p.p. prevede che le misure previste nel capo possano essere applicate quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni. Fa eccezione la custodia cautelare in carcere che può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Sinora, dunque, stante l'impianto sanzionatorio previgente, tali misure non potevano trovare applicazione nei confronti dei soggetti accusati di dichiarazione infedele ex art. 4 del d.lgs. n. 74/2000. Tale norma punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (IVA), indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti.

Dichiarazione infedele e misure coercitive

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Il D.L. 124/2019 ha previsto che la pena per dichiarazione infedele sia ora fissata nella reclusione da 2 anni a 4 anni e sei mesi (anziché da 1 a 3 anni). Con questa nuova cornice edittale, il reato di dichiarazione infedele rientra tra quelli per i quali potranno, al sussistere delle condizioni previste, scattare le citate misure coercitive.

Avendo il D.L. fiscale anche abbassato le soglie di punibilità per tale reato, ne deriva una notevole estensione dell'ipotesi delittuosa anche a fattispecie dapprima rientranti nell'alveo delle violazioni amministrative.

La dichiarazione infedele, come ora delineata, scatterà qualora, per ciascuna imposta e per ciascun periodo di imposta, la somma evasa sia superiore a euro centomila (non più 150mila euro) e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione sia superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni (non più tre milioni di euro).

Custodia cautelare in carcere

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La dichiarazione infedele resta, invece, fuori dall'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il testo originario del decreto legge prevedeva come pena massima per tale reato la reclusione fino a 5 anni, ma come anticipato, l'esame parlamentare ha modificato questa cornice edittale che avrebbe reso in astratto applicabile la misura della custodia cautelare in carcere (ai sensi dell'art. 280, comma 2, c.p.p.).

Nonostante le modifiche approvate in sede di conversione, rischierà la custodia cautelare in carcere, invece, l'indagato per omessa dichiarazione. Si tratta del reato che commette chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore a 50.000 euro.

La norma punisce allo stesso modo il sostituto d'imposta che omette la dichiarazione quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000 euro.

Il decreto fiscale ha innalzato le pene tanto per l'omessa dichiarazione del contribuente quanto per l'omissione del sostituto d'imposta: si rischierà la reclusione da 2 a 5 anni (non più da un anno e 6 mesi a 4 anni). Tale forbice edittale rientra appieno in quella prevista per

Se l'abbassamento della pena massima da 6 a 5 anni di reclusione rende potenzialmente applicabile la custodia cautelare in carcere, sarà altresì possibile applicare a questo delitto l'art. 131-bis c.p., che esclude la punibilità per particolare tenuità del fatto.

Intercettazioni: tutto invariato

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L'inasprimento delle pene come delineato nel testo originario del decreto legge rischiava di comportare, per taluni reati, anche la possibilità di utilizzare intercettazioni nel corso delle indagini: infatti, l'art. 266 c.p.p. consente le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione nei procedimenti per delitti non colposi puniti con la reclusione superiore nel massimo a 5 anni.

In potenziale, vi sarebbero potuti rientrare il delitto di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele, ma poiché, in sede di conversione, la reclusione massima è stata ridotta, nulla è cambiato. I reati tributari per i quali potranno essere svolte intercettazioni restano quelli previsti in precedenza (es. emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili, ecc.).


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