Amministratore di fatto e prova testimoniale: incapacità a testimoniare o 'mera' inattendibilità? Ecco come si è espressa la Suprema Corte
Avv. Paolo Calabretta - Amministratore di fatto e prova testimoniale, incapacità a testimoniare o "mera" inattendibilità? Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, sez. VI penale, con sentenza n. 38242/2019, ha statuito che l'amministratore di fatto della società (parte in causa del processo civile) non può essere ritenuto incapace di testimoniare.


La vicenda

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Era accaduto che, nel corso di una causa di lavoro, un testimone aveva reso false dichiarazioni in merito alle modalità con cui venivano erogati i compensi al lavoratore per conto della società datrice di lavoro.

Il testimone, condannato per falsa testimonianza in entrambi i gradi di merito, ricorreva per cassazione deducendo vizio della motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto motivo nuovo inammissibile - perché non inerente i punti ed i capi della decisione investiti dall'appello principale - la questione relativa alla capacità di testimoniare dell'imputata ex art. 246 c.p.c. nella causa di lavoro, in quanto amministratrice di fatto della società parte convenuta.

La Corte di Cassazione, sul punto, ha statuito che l'interesse di fatto non è ostativo all'obbligo di testimoniare e non determina alcuna incapacità a testimoniare neppure nella sede del processo civile, in cui è previsto che non possono essere assunte come testimoni solo le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

La S. C. ha aggiunto che l'amministratore di fatto è soggetto che per definizione non dispone della legittimazione formale, attiva o passiva per conto della società, parte in causa del processo civile, e quindi non può tale sua posizione, contraddistinta da un interesse non qualificato giuridicamente, determinare una incompatibilità con la qualità di testimone e con gli obblighi conseguenti di deporre e di dire la verità.

La decisione

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Se, quindi, la Suprema Corte ha fissato questo principio - applicabile, quindi, anche nel processo civile - resta da verificare se la qualifica di amministratore di fatto di una società parte in un giudizio civile sia, di per sé, irrilevante ai fini dell'assunzione o della valutazione di una prova testimoniale.

Se, invero, si può convenire con il suindicato arresto circa l'impossibilità di applicare l'art. 246 c.p.c. all'amministratore di fatto, tale qualità, però, potrebbe rilevare ad altri fini (potendosi eventualmente recuperare, in tal guisa, l' "inutilizzabilità" della deposizione testimoniale resa).

E' noto, invero, che la S. C. ha affermato il seguente principio, di carattere generale:

In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all'attendibilità del teste - che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso - forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cassazione civile, sez. III, 18/04/2016, n. 7623).

Ebbene, coordinando i summenzionati principi, può quindi affermarsi che la qualità di amministratore di fatto non sia - di per sé - neutra, in quanto, una volta esclusa l'incapacità a testimoniare, resterà, comunque, da valutare l'attendibilità o meno della relativa deposizione, secondo i concreti elementi di giudizio scaturenti dall'esame degli atti di causa.

Conclusioni

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In conclusione, non ci si può esimere dal considerare un aspetto fondamentale.

E' evidente come - mentre lo status di amministratore di diritto risulti per tabulas - lo status di amministratore di fatto, per definizione, non è documentabile.

Sicchè potrà accadere che - alla data dell'indicazione di siffatto teste, come pure alla data della sua deposizione - tale qualità non sia né dedotta e tanto meno dimostrabile.

Potrebbe, quindi, accadere che tale status emerga (e venga dimostrato) solo in corso di giudizio e, quindi, dopo che sia avvenuta la deposizione del teste.

Secondo il principio di eventualità, quindi, devesi ritenere che - ove venga dimostrata l'incolpevolezza per la tardiva deduzione e dimostrazione di tale qualità - sarà sempre ammissibile la deduzione dell'inattendibilità della deposizione testimoniale resa da soggetto di cui, ex post, sia stato accertato l'interesse ad un determinato esito della lite, quale amministratore di fatto.

Conseguentemente, non dovrebbe trovare applicazione il principio - applicabile al diverso istituto dell'incapacità a testimoniare - della sanatoria della nullità della deposizione testimoniale resa da persona incapace (principio recentemente ribadito con la seguente massima): "La nullità della deposizione testimoniale resa da persona incapace deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, anche quando l'incapacità sia stata eccepita prima dell'assunzione, atteso che le disposizioni limitative della capacità dei testi a deporre, non costituendo norme di ordine pubblico, sono dettate nell'esclusivo interesse delle parti che possono pertanto del tutto legittimamente rinunciare anche tacitamente alla relativa eccezione, facendo acquiescenza al provvedimento di rigetto dell'eccezione come nel caso in cui la stessa non sia riproposta in sede di precisazione delle conclusioni" (Cassazione civile, sez. VI, 12/03/2019, n. 7095).

Infine, appare utile rammentare come il legislatore abbia introdotto una nozione di amministratore di fatto - sia pure dettata in materia di disposizioni penali in materia di societa' - con l'art. 2639 c. c., il quale dispone che: [I]. Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.


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