Per la condanna non basta il nesso di causalità tra trasfusione e contagio perché se la prima serve per salvare la vita del paziente il medico è scriminato

di Valeria Zeppilli - Se delle trasfusioni di sangue cagionano un contagio di virus su un paziente, la dimostrazione del nesso di causalità tra tali due eventi non è sufficiente a determinare la responsabilità dei medici che hanno disposto il trattamento.

Responsabilità scriminata

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Bisogna infatti verificare se tali trasfusioni potessero essere evitate o se, invece, fossero assolutamente indifferibili per scongiurare il rischio di vita del paziente.

In questo secondo caso il comportamento dei sanitari che le hanno disposte, anche se in tal modo è stato cagionato un fatto dannoso, deve essere scriminato.

La pronuncia della Cassazione

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Iil principio emerge dall'ordinanza della Corte di cassazione numero 15867/2019 (qui sotto allegata), che si è pronunciata sulla vicenda di un ragazzo che, a seguito di operazione chirurgica a un ginocchio, si era venuto a trovare in pericolo di vita, per scongiurare il quale i medici lo sottoposero a delle trasfusioni di sangue, senza preliminarmente acquisire il consenso suo e dei suoi genitori. Dalle trasfusioni derivò il contagio di un virus e la degenerazione di una patologia epatica in cirrosi.

Nel caso di specie il paziente, in sostanza, si trovava in condizioni di salute tali che la trasfusione non poteva essere evitata, con la conseguenza che la responsabilità dei sanitari, pur se foriera di un fatto dannoso, deve ritenersi comunque scriminata dallo stato di necessità.

Consenso informato

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Nell'ordinanza in commento, la Cassazione si è soffermata anche sul profilo del consenso informato che i genitori del paziente, allora minorenne, avrebbero dovuto dare alla trasfusione ma che, in realtà, non è stato correttamente acquisito.

Nel confermare le conclusioni del giudice del merito (per il quale i genitori, se pure fossero stati informati dei possibili rischi delle trasfusioni, avrebbero comunque dato il loro consenso alla luce delle condizioni molto gravi in cui si trovava il figlio), la Corte ha dichiaratamente deciso di dare continuità al proprio orientamento in forza del quale "per poter configurare la lesione del diritto ad essere informato, occorre raggiungere la prova, anche tramite presunzioni che, ove compiutamente informato, il paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute".

Scarica pdf ordinanza Cassazione numero 15867/2019
Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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