Il M.A.E. e la richiesta di consegna del soggetto minorenne: un confronto tra disciplina comunitaria ed italiana e alcuni spunti di riflessione

di Giovanni Mastria - Qual è il trattamento riservato al minorenne nella procedura di mandato d'arresto europeo, introdotta dalla DQ 2002/584/GAI? La questione - già delicata a causa del dato anagrafico del soggetto coinvolto- richiede alcuni approfondimenti preliminari sulla natura dell'istituto.

Il Mandato d'arresto europeo (MAE)

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Ed invero, sin d'ora deve essere chiaro che il M.A.E rimane comunque un procedimento di carattere penale, come tale teatro di possibili compressioni dei diritti dell'individuo.

Un pericolo, questo, reso ancora più concreto in virtù della portata sovranazionale dello strumento.

Giova in questa sede ricordare, infatti, che con l'euromandato si avvia una procedura transfrontaliera che si sostanzia nella richiesta di consegna di un soggetto indagato, imputato o condannato emessa da uno Stato comunitario, detto di emissione, e ricevuta da un altro Stato comunitario, detto di esecuzione.

Il fine è quello di sottoporre il ricercato ad un processo (mandato di tipo processuale) oppure all'esecuzione di misura cautelare o pena definitiva (mandato di tipo esecutivo) per fatti commessi nel territorio dello Stato richiedente.

A fronte di ciò il rischio -in verità non peregrino- è che l'interessato possa rimanere letteralmente "schiacciato" dall'imponenza di una procedura che si realizza in più Paesi.

E' chiaro, a questo punto, che la questione diviene addirittura più delicata laddove venga richiesta la consegna di un soggetto minorenne: risulta pacifica, in tal caso, la necessità di adottare tutta una serie di precauzioni a favore di individui ontologicamente "sensibili" perché ancora in formazione.

Oltre all'esigenza di una tutela più intensa sotto il profilo procedurale rileva, infatti, anche la necessità di porre in essere tutta una serie di valutazioni di carattere prognostico, dovendosi altresì considerare le implicazioni che una procedura del genere può avere sulla funzione rieducativa della pena e sulle conseguenti possibilità, per il ragazzo, di reinserirsi all'interno del tessuto sociale.

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La tutela del minore nella DQ 2002/584/GAI

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La DQ 2002/584/GAI dedicava un'attenzione minima alla consegna del minorenne: ad esso era destinata un'unica disposizione, in vero piuttosto vaga e poco dettagliata.

Il motivo è, con ogni probabilità, da ricondurre all'intenzione del legislatore comunitario di non perdersi in tecnicismi eccessivi, che si sarebbero potuti rivelare incompatibili con i meccanismi processuali degli Stati membri.

Inoltre, lasciando maggiore libertà ai legislatori nazionali questi avrebbero potuto predisporre -secondo quanto previsto dal Dodicesimo Considerando[1]- una tutela più intensa ed incisiva nei confronti del ricercato minorenne.

La disciplina, infatti, è tutta contenuta nell'art. 3 n. 3, il quale stabilisce che la non esecuzione del provvedimento è obbligatoria "se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo non può ancora essere considerata, a causa dell'età, penalmente responsabile dei fatti all'origine del mandato d'arresto europeo in base alla legge dello Stato membro di esecuzione".

Benché sintetica e scarna, la disposizione in oggetto aveva una portata innovativa e rilevante in quanto, all'interno del panorama legislativo comunitario, non esisteva alcun precedente in tal senso. Proprio per questo venne recepita dai legislatori nazionali (salvo il caso italiano, come si vedrà a breve) con prontezza e semplicità anche se, sin da subito, fu evidente un aspetto controverso e problematico: rimettendo la concreta disciplina alle normative interne, il legislatore comunitario non aveva indicato l'età a partire dalla quale il minore poteva essere considerato imputabile. Tutto ciò legittimava, dunque, una potenziale disparità di trattamento tra minori indagati, imputati o condannati nei vari Stati membri[2].

Nel nostro Paese, invece, la cennata disposizione è stata ritenuta insufficiente e non conforme al patrimonio di garanzie riconosciute al minore dal nostro ordinamento.

Per tali motivi, in relazione alla consegna di soggetti minorenni, il legislatore italiano ha predisposto una disciplina ben più elaborata, con la manifesta volontà di rispettare i principi cardine della nostra Costituzione.

Il caso italiano: la tutela del minorenne nella legge di recepimento

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In Italia la normativa sull'euromandato è stata recepita mediante la L. 69/2005.

In generale è possibile affermare che -in un'ottica personalista e solidarista- il legislatore italiano ha prestato maggiore attenzione alle prerogative dell'individuo coinvolto nel procedimento, anche a costo di porre in essere una disciplina poco conforme al testo comunitario.

Come sopra anticipato, ciò vale anche per la consegna del soggetto minorenne: benché neppure il nostro legislatore abbia fissato una soglia anagrafica minima, è stato predisposto un apparato normativo più dettagliato e corposo di quello europeo, con l'intento di offrire al minore maggiori e più intense garanzie.

Nel testo di recepimento, infatti, sono state riproposte alcune disposizioni interne contenute nel codice sostanziale e processuale penale, nel R.D.L. 1404 del 1934 e, soprattutto, nell'apposito D.P.R. 22 Settembre 1988 n. 448: norme, queste, che essendo interamente rivolte al recupero sociale del giovane rappresentano un esempio di civiltà giuridica che nel tempo è stato apprezzato in tutto il mondo.

Nello specifico, tra i casi di rifiuto obbligatorio previsti dall'art. 18 della cennata L. 69/2005, la lettera i) prevede sei ipotesi di diniego alla richiesta di consegna del minore.

Ed invero, la Corte d'Appello non può dare seguito al mandato nel caso in cui la persona richiesta sia infraquattordicenne al tempus commissi delicti o, sebbene ultra-quattordicenne, risulti comunque non imputabile.

Tale disposizione ripropone, di fatto, quanto già espressamente previsto dagli artt. 97 e 98 del nostro codice penale.

L'art. 97 c.p., in particolare, introduce una presunzione di carattere assoluto: avere meno di quattordici anni comporta l'automatica esclusione dell'imputabilità del soggetto[3].

Una causa di natura fisiologica, dunque, secondo cui la capacità di intendere e di volere richiede un sufficiente grado di sviluppo psico-fisico, che evidentemente non può avere il minore degli anni quattordici.

In concreto tali soggetti non sono passibili di condanna e, in caso di segnalazione di reato a carico, il pubblico ministero non può svolgere alcuna attività investigativa nei loro confronti, dovendo richiedere sic et simpliciter una sentenza di proscioglimento con relativa formula ai sensi dell'art. 26 D.P.R. 448/1988. Ciò non preclude, tuttavia, l'applicazione di una misura di sicurezza, ex art. 224 c.p.p, qualora sia accertata la pericolosità sociale del soggetto interessato.

Per il soggetto minorenne avente età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, invece, l'art. 98 c.p. non prevede alcuna presunzione né di capacità e né di incapacità[4]: è infatti il giudice che, di volta in volta, deve verificare l'imputabilità secondo quanto indicato dagli artt. 8 e 9 D.P.R. 488/1988. Ai sensi dell'art. 8 è previsto che, qualora vi siano dubbi sul compimento del diciottesimo anno di età e, dunque, sull'imputabilità, il magistrato può disporre una perizia ai fini di accertare con esattezza il dato anagrafico.

Secondo l'art. 9, invece, il giudice deve valutare la personalità del minore non solo in virtù dell'addebito contestatogli, ma anche del comportamento tenuto dopo il fatto in contestazione, facendo riferimento ad altri elementi, quali condizioni e risorse familiari, stile di vita, abitudini ed inclinazioni.

Dalla ponderazione organica di tali parametri l'organo giudiziario deve desumere la capacità di intendere e di volere del soggetto in questione.

Laddove la fattispecie veda protagonisti dei minori, quindi, la capacità non è soltanto legata al riscontro di patologie cliniche o psicologiche, ma anche ad una concreta verifica dell'immaturità del minorenne, che eventualmente renda non consolidati o perlomeno alterati i processi di cognizione, discernimento e volizione cosicché il soggetto non capisca la reale portata della propria condotta.

Già sotto il profilo sostanziale, dunque, ben si comprende il rilevante peso del fattore età nel sistema giudiziario minorile.

Di tutto questo il legislatore ha tenuto conto nella n. 69/2005, nella quale è previsto un accertamento dell'età alla data di commissione del fatto, accertamento finalizzato proprio al giudizio di imputabilità del reo.

Ciononostante non sono mancate le critiche.

In dottrina sono state avanzate riserve laddove la normativa prevede il divieto di consegna nel caso in cui, "effettuati i necessari accertamenti, il soggetto risulti comunque non imputabile" per ragioni di età.

In proposito è stato evidenziato che tali accertamenti sono incompatibili con i tempi per giungere ad una decisione sulla richiesta di esecuzione, tempi per la verità decisamente ristretti (60 giorni, con una possibile proroga di altri 30 ai sensi dell'art. 17 comma 2, legge n. 69/2005)[5].

Questo anche in considerazione del fatto che tali indagini, prodromiche al giudizio sull'imputabilità del minore -pur non avendo ad oggetto un esame di merito sul fatto a fondamento del mandato d'arresto- devono essere abbastanza approfondite ed accurate.

Tutto ciò sarebbe eccessivamente "disarmonico con la logica e con l'economia procedimentale della cooperazione, e in particolare della cooperazione tra Paesi europei, i quali si riconoscono, all'insegna della buona fede, nel principio-base del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie"[6].

In ordine alle altre cause di non esecuzione della richiesta di consegna previste dall'art. 18 lett. i), appare opportuno sottolinearne due che risultano pienamente espressive di un valore cardine del nostro sistema di giustizia penale minorile, ovvero quello della realizzazione del miglior equilibrio possibile tra le esigenze retributive dello Stato e quelle rieducative del minore[7].

La prima ipotesi prevede il rifiuto alla richiesta di consegna laddove "la restrizione della libertà personale risulta incompatibile con i processi educativi in atto". Tale previsione si riconnette all'art. 19 del D.P.R. n. 448/1988 secondo il quale il giudice procedente, nell'individuazione della misura cautelare da applicare, deve scegliere quella che garantisca la migliore convergenza tra le esigenze sopra richiamate, assicurando così anche la non interruzione e compromissione dei processi educativi in atto.

La seconda ipotesi riconducibile a tale ambito prevede un diniego obbligatorio qualora "l'ordinamento dello Stato membro di emissione non prevede differenze di trattamento carcerario tra il minore di anni 18 e il soggetto maggiorenne".

Tale disposizione risulta essere a tutti gli effetti in linea con il disposto degli artt. 3 e 27 Cost.: solo mediante un sistema giuridico differenziato in base all'età del reo si eliminano le disparità di trattamento che deriverebbero dall'impiego del medesimo regime sanzionatorio e che, di fatto, sarebbero ostative al pieno reinserimento sociale del soggetto interessato.

Proseguendo con l'analisi dell'art. 18 lett. i) devono essere evidenziate alcune problematiche in ordine all'esclusione della consegna dell'infradiciottenne qualora per il reato alla base del mandato d'arresto sia previsto un massimo edittale inferiore ai nove anni.

Nello specifico, è stata criticata la scelta legislativa di introdurre per i minori un trattamento differente, con un massimo di molto superiore a quello previsto ai sensi dell'art. 7 della L. 69/2005.

A tal proposito, da attenta dottrina fu subito fatto notare come "la diversità di situazioni nelle quali versano il maggiorenne e il minorenne imputabile può ben apprezzarsi sul piano delle valutazioni operate dal giudice in sede di comminazione della pena e su quello del trattamento penitenziario, ma non può certo dar luogo ad una cornice edittale alternativa"[8].

Una simile disposizione, oltre ad essere poco conforme a quanto previsto dall'art. 2 DQ, realizza un contrasto con l'art. 3 Cost.

Non appare ragionevole discriminare il minore reo in territorio italiano, come tale assoggettato agli ordinari corsi della giustizia italiana, rispetto a quello che abbia consumato il reato in un altro Stato membro: quest'ultimo godrebbe di una sostanziale impunità ogniqualvolta la cornice edittale prevista sia inferiore ai nove anni, soglia richiesta dalla legge di recepimento.

Ad ogni buon conto, in disparte tale ultima ed infelice disposizione, è comunque possibile tracciare un bilancio positivo in merito alla disciplina interna sul mandato d'arresto avente ad oggetto un minore.

Non sembrano da condividere le preoccupazioni di chi, all'indomani dell'emanazione della n. 69/2005, sostenne che le forti discrasie rispetto all'atto comunitario di origine avrebbero, in concreto, compromesso l'obiettivo di semplificare le procedure di consegna[9].

A tal proposito pare opportuno ricordare che in tali circostanze, oltre alla fisiologica necessità di garantire i diritti fondamentali della persona coinvolta in un procedimento penale, vieppiù minorenne, rileva anche l'obbligo di recuperare e reinserire un soggetto non ancora formato, con tutte le delicate implicazioni del caso.

La direttiva 2016/800 e le garanzie procedurali per i minori indagati o imputati

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Ai fini di una più completa esposizione giova altresì rappresentare che sulla tutela del minore nel procedimento penale è, in seguito, intervenuta la direttiva 2016/800.

Questa ha introdotto una disciplina uniforme in tutti gli Stati membri, con un'incidenza, ai sensi dell'art. 1 e dell'art. 17, anche sulla disciplina del M.A.E. .

L'art. 1, infatti, stabilisce che le garanzie introdotte dalla summenzionata direttiva si applichino tanto al minorenne coinvolto in un procedimento penale interno quanto a quello interessato da euromandato, a prescindere, quindi, dalla nozione in precedenza accolta da ciascun ordinamento.

L'art. 17, invece, chiarisce che "gli Stati membri provvedono affinché i diritti di cui agli articoli 4, 5, 6 e 8, agli articoli da 10 a 15 e all'articolo 18 si applichino mutatis mutandis nei confronti di un minore ricercato dal momento in cui è arrestato in forza di un procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo nello Stato membro di esecuzione"[10].

Neppure tale direttiva è stata esente da critiche, posto che dal congiunto disposto degli artt. 2 e 17 si desume che il momento in cui rileva la minore età non è quello della commissione del fatto di reato, bensì quello nel quale si dà avvio al procedimento penale, con il grave rischio di legittimare un trattamento in pejus per coloro che, seppur minorenni al momento del fatto, sono penalmente perseguiti come maggiorenni.

Ad ogni buon conto, ai sensi dell'art. 2 par. 5, viene altresì precisato che è fatta salva l'applicazione delle norme nazionali che stabiliscono l'età minima a partire dalla quale il minore potrà essere penalmente perseguito.

In Italia, nella apposita Relazione trasmessa alle Camere, il Ministero della Giustizia ha immediatamente sottolineato che le disposizioni contenute nel testo della summenzionata direttiva sono "già in linea con le garanzie previste dal nostro ordinamento".

Quanto introdotto dal legislatore comunitario, dunque, era già previsto dal diritto interno.

Come sopra meglio compendiato, infatti, nel nostro Paese il processo minorile prevede da sempre un regime di specialità fortemente garantista.

Un processo a misura di minore sia nella fase più strettamente processuale, con l'attribuzione della garanzia del diritto ad essere giudicato da un giudice collegiale specializzato, sia nella fase di applicazione delle misure, tipizzate e non obbligatorie, le quali dovranno primariamente tendere alla rieducazione del soggetto e non alla mera repressione della condotta criminosa.

Nonostante le rassicurazioni fornite dal Ministero, sarà comunque interessante vedere gli sviluppi in materia.


[1] Vedasi in proposito il testo del Dodicesimo Considerando laddove recita: "La presente decisione quadro

non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo".

[2] Le soglie di età nei vari Paesi dell'Unione erano variamente fissate, andando dagli 8 anni in Grecia, ai 16 anni del Portogallo. A tal proposito E. ZAPPALA, La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, Torino, 2009, 17-36.

[3] Art. 97 c.p.: "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni".

[4] L'art. 98, comma 1, c.p. recita: "È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere; ma la pena è diminuita".

[5] M. PISANI, Estradizione o consegna del minore, in Dir. Proc. Pen., 2006, 49.

[6] M. PISANI, Estradizione o consegna del minore, cit., 49.

[7] G. SAMBUCO, Problemi di mandato d'arresto europeo: la competenza per la consegna di imputati minorenni, in Giur. It., 2009, 87.

[8] M. ROMANO, La legge 22 aprile 2005, n.69: gli eccessi e le contraddittorietà della normativa italiana di recepimento: prassi ed evoluzione, in www.diritto.it, 2009, 33.

[9] M. ROMANO, La legge 22 aprile 2005, n. 69: gli eccessi e le contraddittorietà della normativa italiana di recepimento: prassi ed evoluzione, cit., 32.

[10] Tutto il compendio di garanzie disciplinate dalla direttiva de qua. Nel dettaglio Art. 4: diritto all'informazione; Art. 5: diritto del minore a che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale; Art. 6: assistenza di un difensore; Art. 8: diritto all'esame medico; Art. 10: limitazione della privazione della libertà personale; Art. 11: misure alternative; Art. 12: trattamento specifico in caso di privazione della libertà personale; Art. 13: trattamento tempestivo e diligente delle cause; Art. 14: diritto alla protezione della vita privata; Art. 15: diritto del minore di essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale durante il procedimento.


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