Le clausole limitative della proprietà privata, come nel caso del divieto di adibire l'immobile di proprietà a determinate attività, devono essere contenute nel regolamento condominiale

Avv. Paolo Accoti - Vietata e, pertanto, da cessare immediatamente l'attività di ristorazione realizzata all'interno di un immobile in condominio, qualora il regolamento condominiale inibisca la destinazione di unità immobiliari all'esercizio della ristorazione, attesa la comune intenzione dei contraenti di ostacolare quelle attività potenzialmente idonee a produrre immissioni, siano esse di fumo, calore o altro, nocive per la salute e la tranquillità dei condòmini.

Tanto è dato leggere nell'ordinanza n. 129, della Corte di Cassazione, pubblicata in data 7 Gennaio 2019.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte nel rigettare il ricorso proposto dal titolare del ristorante e, pertanto, nel confermare le sentenze delle Corti di merito che avevano disposto l'immediata cessazione dell'attività di ristorazione nello spazio corrispondente ad una determinata particella, con la rimozione della relativa attrezzatura, valorizzava l'accordo intervenuto tra le parti in merito al successivo inserimento, nel futuro regolamento di condominio, di una clausola atta a limitare l'esercizio dell'attività di ristorazione ad una determinata particella, con esclusione pertanto delle altre detenute dal medesimo ristoratore, clausola successivamente inserita nel regolamento di condominio all'art. 12.

Lo stesso, tuttavia, estendeva tale attività anche ad un'altra particella, così incappando nella violazione del suddetto accordo e del conseguente regolamento.

Ciò posto, dal tenore letterale della sentenza non è dato comprendere se il richiamato regolamento fosse di natura assembleare ovvero contrattuale, in quanto predisposto dall'originario unico proprietario, tuttavia, a tal proposito, appare necessario operare alcuni chiarimenti.

Le clausole inserite nel regolamento

Per quanto concerne le clausole limitative della proprietà privata, come nel caso del divieto di adibire l'immobile di proprietà a determinate attività, le stesse, per avere efficacia, devono essere contenute in un regolamento condominiale di natura assembleare approvato da tutti i partecipanti al condominio ovvero in un regolamento contrattuale predisposto dall'originario unico proprietario o dal costruttore dell'immobile.

Appare evidente, pertanto, che il regolamento deve sussistere fin dal primo acquisto, non risultando ammissibile un richiamo alla sua futura predisposizione, tanto è vero che <<l'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unità immobiliare di un fabbricato, di rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poiché è solo il concreto richiamo nel singolo atto d'acquisto ad un determinato regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem di tale atto>> (Cass. 5657/2015).

Fatta questa doverosa premessa, occorre considerare se per l'opponibilità del regolamento nei confronti dei terzi acquirenti, sia sufficiente il mero richiamo all'interno dell'atto di acquisto o se, al contrario, la clausola regolamentare debba essere materialmente trascritta.

Con particolare riferimento alle clausole limitative della proprietà privata, come ad esempio, il divieto di adibire gli appartamenti ad uso diverso da quello di civile abitazione o di studi o uffici professionali privati, le stesse devono essere interpretate nel senso di permettere l'utilizzo solo a fini residenziali privati, con esclusione, conseguentemente, di tutti quegli usi abitativi collettivi e di carattere duraturo.

In tale divieto, pertanto, ricadono tutti gli utilizzi relativi a residenze assistenziali rivolte agli anziani, in forma di case di riposo, case famiglia o anche comunità alloggio e, in generale, tutti quelli che offrono servizi alberghieri, tra cui affittacamere, pensioni, ostelli, locande, bad & breakfast, eccetera.

A tal proposito, la recente giurisprudenza ha chiarito che tali clausole rientrano nella tipologia delle servitù atipiche e, in quanto tali, per essere opponibili ai terzi acquirenti, devono risultare in una apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto.

Tali clausole, infatti, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 2659 e 2665 Cc, devono essere specificatamente indicate, non risultando sufficiente il richiamo al regolamento condominiale inserito nell'atto di acquisto.

In altri termini, l'opponibilità delle clausole limitative della proprietà privata deriverà non tanto dalla trascrizione del regolamento condominiale, bensì dall'inserimento delle clausole costitutive della servitù all'interno dello stesso.

Ciò posto, qualora tali clausole siano inserite nel regolamento predisposto dal costruttore ovvero dall'originario unico proprietario, la nota di trascrizione del primo atto di acquisto contenente il suddetto vincolo, risulterà opponibile a tutti i successivi acquirenti.

In difetto di trascrizione, viceversa, tali clausole limitative opererebbero esclusivamente nei confronti del terzo acquirente informato specificamente della loro esistenza nel contratto d'acquisto.

Scarica pdf Cass. civ., 07.01.2019, n. 129
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