di Valeria Zeppilli - Il medico che sconsiglia alla futura madre di eseguire i test clinici sul nascituro è chiamato a rispondere del suo operato nei confronti della donna se poi il bambino nasce affetto dalla sindrome di down.
La vicenda
Con la sentenza numero 19151/2018 qui sotto allegata, la Corte di cassazione ha infatti confermato la responsabilità solidale di un medico e della struttura sanitaria in cui questi esercitava la professione di ginecologo per il danno causato a una paziente dalla nascita di una bimba affetta dalla predetta patologia.
Il sanitario, in particolare, si era rifiutato di svolgere gli esami e i test prenatali sulla gestante ritenendo sconsigliata ogni pratica invasiva sul feto in ragione del cerchiaggio praticato alla donna.
La volontà abortiva
A sostegno della conferma della condanna, i giudici hanno messo in evidenza che nel corso del giudizio era stata accertata la volontà abortiva della donna in caso di problematiche come quella poi manifestatasi, desumendola dalle insistenti richieste di effettuare una diagnosi prenatale e dalle statistiche sul ricorso a interruzione di gravidanza in caso di conoscenza preventiva di malformazioni di tal tipo.
Onere della prova
La Corte, a tale proposito, ha anche ricordato che l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza ricorrendone le condizioni di legge può essere assolto dal genitore anche tramite praesumptio hominis, sulla base di inferenze desumibili dagli elementi di prova, come "il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva". Assolto questo onere, è del medico il compito di fornire la prova contraria che la donna non si sarebbe in realtà determinata all'aborto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 19151/2018• Foto: 123rf.com