Guida sulla procedura da seguire per rivendicare il danno da mancato rinnovo dell'esercizio di attività di g.p.g. e dal "no" sulla licenza per arma da difesa personale
Avv. Francesco Pandolfi - Parliamo della situazione nella quale si può venire a trovare una persona che subisca, da parte della Prefettura, il mancato rinnovo dell'approvazione dell'esercizio dell'attività di guardia particolare giurata e il diniego della licenza di porto d'armi per difesa personale.

Si tratta di una situazione specifica, ma teniamo presente che le regole valgono per tante altre categorie di persone, dal momento che in ballo c'è la condotta dell'amministrazione in generale nei casi in cui questa sia "colposa" e ci sono gli effetti che questa produce in capo alle persone che necessitano di autorizzazioni e ne hanno i requisiti.

Qual è la norma di riferimento

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La regola che disciplina questa specifica situazione è l'art. 138 t.u.l.p.s.

Che succede dopo il no del Prefetto

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Si verifica un problema assai serio: il decreto prefettizio impedisce all'interessato di lavorare.

In pratica gli viene impedito di continuare a prestare l'attività lavorativa alle dipendenze dell'istituto di vigilanza presso il quale ha, in precedenza, prestato servizio come vigilante notturno.

Dal canto suo, la Prefettura può arrivare a tanto se dispone di informazioni pregiudizievoli sul conto della persona interessata, ritenuta quindi non più affidabile: pensiamo ad esempio, alle negative relazioni ed informative rese sulla persona dai Carabinieri, che mostrano alcune sue dubbie frequentazioni sociali.

Fatto questo che determina, alla fine della procedura, la perdita della retribuzione, dell'anzianità di servizio, della posizione previdenziale e degli incrementi connessi agli scatti di anzianità, almeno per il periodo di interruzione dal servizio fino alla riassunzione presso l'istituto.

Che cosa fa il datore di lavoro

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In pratica: ricevuta la comunicazione della Prefettura di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza presentata dal dipendente per i rinnovi, l'ente datoriale lo informa dell'avvio del procedimento di risoluzione del rapporto di lavoro e lo sospende dalle mansioni senza diritto a retribuzione ed anzianità di servizio.

Quindi, una volta acquisita la notizia del rigetto dell'istanza difensiva dell'interessato, formalizza la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro per il difetto del requisito soggettivo di cui al 3 comma dell'art. 138 t.u.l.p.s.

Che cosa può fare il lavoratore

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Il dipendente colpito da questo severo e problematico provvedimento può presentare un ricorso al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, con il quale può lamentarsi dell'eccesso di potere della controparte amministrativa per il travisamento dei fatti e per la palese ingiustizia nella valutazione.

Per esempio: quelle dubbie frequentazioni sociali magari sono state del tutto episodiche o involontarie.

Può inoltre chiedere la sospensione cautelare del provvedimento, oltre che ovviamente l'annullamento dello stesso.

In caso di rigetto in primo grado, può presentare l'appello al Consiglio di Stato.

Che cosa può chiedere in causa il dipendente licenziato

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Una volta impiantata la causa nei confronti della Prefettura e del Ministero dell'Interno, il ricorrente può chiedere il risarcimento del danno patrimoniale nascente dall'interruzione del rapporto lavorativo.

Nello specifico: può chiedere la restituzione delle retribuzioni perse per tutti gli anni in cui è stato fermo e non ha lavorato, inoltre può chiedere l'anzianità di servizio e la contribuzione previdenziale, altresì può chiedere gli scatti di anzianità e servizio.

Per sostenere la domanda risarcitoria, egli può mettere in risalto la responsabilità delle amministrazioni di controparte nell'ambito del procedimento avviato con la domanda di rinnovo dell'approvazione prefettizia di nomina, in quanto un'insufficiente istruttoria le ha portate al veto senza giustificare motivi reali di dubbio sulla sua affidabilità.

Che cosa può fare il Tar

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In casi come questo i giudici individuano la responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per danno da illegittima attività provvedimentale, seguendo le regole generali date dagli artt. 2043 c.c. e 30 c.p.a.

I criteri che seguono sono quattro:

1) accertano l'illegittimità del provvedimento perché questa integra l'elemento oggettivo dell'illecito,

2) accertano il nesso causale tra decreto del prefetto, sospensione del dipendente e successivo licenziamento,

3) accertano che c'è un danno risarcibile, sotto forma di mancata percezione della retribuzione,

4) accertano la colpa dell'amministrazione per aver emanato un provvedimento illegittimo, lesivo in quanto imparziale, scorretto e in mala fede.

Come viene quantificato il risarcimento

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Abbiamo detto che si tratta di danno patrimoniale e della ricostruzione degli emolumenti spettanti nel periodo oggetto di vertenza.

Per la quantificazione si prende, come punto di riferimento, la retribuzione prevista dal CCNL applicabile.


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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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