Per la Cassazione l'attitudine al proficuo lavoro del coniuge va valutata in relazione all'assegno quale potenziale capacità di guadagno

di Lucia Izzo - Perde l'assegno di mantenimento la ex moglie che rifiuta immotivatamente offerte di lavoro. Infatti, l'attitudine al proficuo lavoro del coniuge, quale potenziale capacità di guadagno, rappresenta un elemento valutabile per le questioni afferenti l'assegno di mantenimento.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 5817/2018 (sotto allegata) respingendo la domanda di una ex moglie che, nella controversia in relativa alla separazione personale tra lei e il marito, si era vista revocare l'assegno di mantenimento.


La Corte d'Appello aveva rilevato come la donna avesse rifiutato diverse offerte di lavoro assumendo che i colloqui non fossero finalizzati a vere assunzioni, deduzioni rimaste del tutto sfornite di riscontro.

Cassazione: niente mantenimento al coniuge che rifiuta immotivatamente offerte di lavoro

In Cassazione, la signora contesta la decisione della Corte territoriale, ma per gli Ermellini la sua doglianza è manifestamente infondata.


In tema di separazione personale dei coniugi, precisa la Corte, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento.


Tale attitudine del coniuge al lavoro, si legge nel provvedimento, assume in tal caso rilievo ove venga riscontrata in termini di effettività possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (cfr. Cass., nn. 18547/2006 e 3502/2013).


L'impugnata sentenza, conclude il Collegio, ha escluso il diritto al mantenimento spettante alla signora sul rilievo che la ricorrente fosse in grado di procurarsi redditi adeguati stante la pacifica esistenza di proposte di lavoro le quali immotivatamente non erano state accettate. Una valutazione coerente con l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità. Il ricorso va dunque respinto.

Cassazione, ordinanza n. 5817/2018

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