Per la Cassazione va consentito l'accesso alle informazioni non trovando applicazione il termine di cui all'art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 196/2003

di Lucia Izzo - Al figlio, nato da parto anonimo, deve essere consentito l'accesso alle informazioni riguardanti l'identità della madre biologica nel momento in cui quest'ultima sia deceduta: nonostante il diritto alla privacy della donna vada tutelato, dopo la sua morte ciò non potrà ostacolare il diritto del figlio adottivo di conoscere le sue origini, non trovando applicazione oltre il limite della vita della madre il termine previsto dall'art. 93, comma 2, d.lgs. n. 196/2003 (Certificato di assistenza al parto).


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 3004/2018 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso con cui l'attore, figlio adottivo, aveva chiesto al Tribunale per i Minorenni di accedere alle informazioni riguardanti l'identità dei propri genitori biologici.


Il Tribunale accertava. all'esito delle indagini compiute, che il padre era ignoto e la madre deceduta nonchè che quest'ultima, al momento del parto, aveva chiesto di non essere nominata. Pertanto la domanda veniva rigettata sul rilievo che la morte rendeva per il figlio impossibile accedere alla sua identità non essendo più possibile l'interpello previsto dalla Corte Costituzionale (sent. n. 278/2013) che le avrebbe consentito di revocare la dichiarazione di non essere nominata.


Anche la Corte d'Appello riteneva di respingere il gravame, ritenendo che la presenza di una norma come l'art. 93, comma 2, del d.lgs. 196/2003, che consente l'acquisizione dei dati relativi alla propria nascita decorsi cento anni dalla data del parto, avrebbe dimostrato che nell'ottica del legislatore la possibilità di acquisire i dati relativi all'identità del proprio genitore prescinde dalla presenza in vita o dal sopravvenuto decesso dello stesso.

Il figlio nato da parto anonimo ha diritto a conoscere l'identità della madre biologica dopo la sua morte

In Cassazione, tuttavia, le doglianze del ricorrente trovano accoglimento in quanto gli Ermellini ritengono di dare continuità al principio secondo cui, in caso di parto anonimo e a seguito della morte della madre, sussiste il diritto del figlio di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all'identità personale della donna.


Secondo i giudici, non può considerarsi operativo oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine previsto dal menzionato art. 93, ovverosia cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata.


Una diversa soluzione, secondo la Cassazione, determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e quindi la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte Cost. n. 278/2013) nonché l'affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l'ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre proprio in ragione della revocabilità di tale scelta (Cass. n. 15023 e 22838 del 2016).


il ricorso va pertanto accolto e, decidendo nel merito, la Cassazione si autorizza il ricorrente ad accedere alle informazioni relative all'identità della propria madre biologica.

Cass., VI civ., ord. n. 3004/2018

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