Per gli Ermellini, il giudice deve tener conto di una serie di elementi, compresi i redditi provenienti da fonte illecita, ma non fondare la sua valutazione su automatismi e congetture

di Lucia Izzo - Ai sensi dell'art. 96, comma 2, d.P.R. n. 115/2002, il giudice, per stabilire se il richiedente il patrocinio a spese dello Stato versi nella condizione economica per l'ammissione, dovrà considerare una serie di elementi: il casellario giudiziale, il tenore di vita, le condizioni familiari e personali e le attività economiche eventualmente svolte dallo stesso.


Anche dei redditi provenienti da fonte illecita il giudice dovrà tener conto e potrà fondare il proprio ragionamento su massime di esperienza, ma non su mere congetture. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, IV sezione penale, nella sentenza n. 836/2018 (qui sotto allegata).


Poiché il Tribunale competente aveva rigettato il ricorso, presentato ex art. 99 d. P.R. n. 115/2002, da un imputato, avverso il diniego di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, questi ricorre ai giudici di legittimità.


In particolare, l'uomo sostiene che il giudice a quo non abbia basato la propria decisione sui parametri indicati dall'art. 96, comma 2, del richiamato d.P.R., non avendo considerando le condizioni personali e familiari, nonché il tenore di vita del ricorrente, totalmente indigente poiché detenuto per diversi anni, fino a pochi mesi prima del procedimento.


Nel provvedimento impugnato, invece, si è ritenuta superata la dichiarazione di "non abbienza" del ricorrente sul presupposto che i delitti contro il patrimonio da lui commessi (continui furti di portafogli e appropriazione delle somme di denaro ivi contenute) avessero costituito una fonte stabile di reddito.

Gratuito patrocinio: niente automatismi nelle valutazioni sull'abbienza del richiedente

In realtà, chiariscono gli Ermellini, il magistrato, nelle valutazioni preordinate a stabilire se l'interessato versi o meno nelle condizioni di cui agli artt. 76 e 92 del d.P.R. n. 15/2002, deve tener conto di una serie di elementi, ovverosia: delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari e delle attività economiche eventualmente svolte.


Inoltre, il giudice è tenuto a prendere in considerazione anche i redditi di fonte illecita, in quanto, ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio, tra i redditi valutabili rientrano anche quelli provenienti da attività criminosa, come si desume dal riferimento alle risultanze del casellario giudiziale.


Tuttavia, spiega il Collegio, l'analisi che il giudice è chiamato a effettuare non può avvalersi di automatismi e deve addentrarsi nella disamina della fattispecie concreta: se, infatti, l'esistenza di redditi di provenienza illecita può essere provata anche ricorrendo a presunzioni semplici, il giudice deve però indicare gli elementi sulla base dei quali operare tale giudizio presuntivo.


In sostanza, in questa prospettiva, il giudice a quo avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che i redditi derivanti dai furti dei portafogli, anche se perpetrati in via sistematica, fossero di entità tale da determinare il superamento della soglia stabilita dalla legge, per l'accesso al beneficio.


Nel caso di specie tale valutazione sull'entità effettiva dei redditi non è stata compiuta e, pertanto, deve rilevarsi una totale assenza di motivazione, non essendo le ragioni a fondamento del decisum neanche implicitamente desumibili dal contesto argomentativo a sostegno della deliberazione adottata, che si esaurisce nella mera formulazione, in termini meramente assertivi, dell'anzidetto giudizio di "superamento della dichiarazione di non abbienza".


Non avendo il giudice a quo neppure fatto alcun riferimento a massime di esperienza utilizzate per addivenire alla conclusione, secondo le quali un'attività di furto di portafogli sia talmente lucrosa da procurare redditi senz'altro superiori alla soglia indicata dalla normativa in tema di gratuito patrocinio, per la Cassazione una simile conclusione si configura come una mera congettura.


Inoltre, il ragionamento del giudice di merito, non si è neppure fondato su massime di esperienza secondo le quali un'attività di furto di portafogli sia talmente lucrosa da procurare redditi senz'altro superiori alla soglia indicata dalla normativa in tema di gratuito patrocinio. Si è trattato, invece, di una mera congettura non supportata supportato dalla benché minima indicazione circa il numero dei furti commessi, l'arco temporale di perpetrazione degli illeciti e l'ammontare delle somme sottratte.


Stante la mancanza totale di motivazione, la Cassazione annulla il provvedimento impugnato rinviando, per nuovo esame.

Cassazione, sentenza n. 836/2018

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