L'inclusione nel conto di crediti verso terzi può essere effettuata mediante mandato o trasferimento a titolo oneroso

Avv. Giampaolo Morini - Le parti tra cui intercorre un rapporto di conto corrente possono decidere di includere nel conto crediti che gli stessi vantano nei confronti di terzi. Il diritto di effettuare, o l'obbligo di ricevere, tale tipo di rimessa non scaturisce dal contratto di conto corrente, ma da un altro distinto rapporto che intercorre tra le parti[1].

Inclusione nel conto di crediti verso terzi: mandato o trasferimento a titolo oneroso

La rimessa può essere effettuata o sulla base di un mandato ad incassare, oppure attraverso un vero e proprio trasferimento a titolo oneroso.

Nel primo caso il credito resta nella titolarità del rimettente e, fintanto che il credito non venga riscosso, a suo favore non sorge alcun diritto verso il ricevente. Una volta riscosso il credito, invece, il ricevente-mandatario ha l'obbligo di versare al rimettente-mandante ciò che ha ricevuto. Se il terzo tenuto al pagamento resta inadempiente il conto rimane invariato e, in capo al ricevente, sussiste solo il diritto di addebitare all'altra parte le spese eventualmente sostenute per la riscossione del credito[2].

Se, invece, la rimessa è fatta nella forma di un vero e proprio trasferimento a titolo oneroso, il ricevente, acquistando la piena titolarità del credito, è obbligato al pagamento del debito che, dato il rapporto di conto corrente, viene annotato in conto a favore del rimettente. In caso di inadempimento da parte del terzo, salva contraria pattuizione, l'inclusione nel conto si presume fatta "salvo incasso", ciò comporta che, se il credito non è soddisfatto, il ricevente possa agire direttamente nei confronti del terzo o eliminare la partita dal conto reintegrando nelle sue ragioni il rimettente[3].

In una lontana statuizione la Corte di Cassazione prevedeva, quale forma della rimessa di un credito verso un terzo, il mandato a riscuotere o il trasferimento del credito medesimo (C. 3751/56)[4].

La giurisprudenza si è pronunciata spesso in ordine all'applicabilità dell'art. 1829 al conto corrente bancario. In una di tali statuizioni la Suprema Corte, stabilendo che detta disposizione non è applicabile nella sua interezza al conto corrente bancario, ha affermato che nel contratto di conto corrente ordinario, nell'ipotesi di credito di un terzo, il credito viene trasferito in proprietà, pertanto, il suo mancato soddisfacimento determina la risoluzione di detto trasferimento e legittima il ricevente, che non ritenga di agire per la riscossione, ad eliminare la partita dal conto, previa restituzione del titolo, al fine di evitare che il rischio dell'insolvenza del debitore gravi su di lui secondo le norme ordinarie sulla cessione dei crediti (C. 8485/94)[5].

Rimessa di un credito cartolare

Un problema particolare si crea in ordine ai crediti incorporati in titoli cambiari, il trasferimento dei quali, secondo parte della dottrina, farebbe sorgere in capo al ricevente il diritto all'esercizio, contro il rimettente, dell'azione cartolare, diretta o di regresso, se il terzo non paga alla scadenza[6]. Si è tuttavia sostenuto che se si riconoscesse la facoltà di esercitare tale azione, si obbligherebbe il rimettente ad effettuare la rimessa in denaro e ciò contrasterebbe con il principio della libertà delle rimesse[7]. Inoltre il rimettente potrebbe sollevare una eccezione causale rilevando che l'altra parte non ha dato nulla in corrispettivo, ma ha solo assunto una obbligazione[8].

La chiusura del conto

La funzione del contratto di conto corrente e la disciplina prevista dal codice consente di ritenere unanimemente che la chiusura del conto corrente non coincide con lo scioglimento del rapporto. Infatti, al fine di non differire troppo sia il controllo reciproco delle annotazioni effettuate, sia la liquidazione e la capitalizzazione degli interessi maturati, alle parti è consentito, periodicamente, di compensare crediti e debiti e di procedere alla determinazione e alla liquidazione di ciò che risulta come saldo.

Si tratta, perciò, di una operazione contabile che di tanto in tanto le parti hanno la facoltà di effettuare. Ma la legge, mentre stabilisce che la chiusura del conto, se le parti o gli usi non prevedono un termine diverso, si intende essere ogni semestre, nulla dispone circa il termine entro il quale debba eseguirsi la chiusura e la relativa liquidazione o quali conseguenze discendano dalla mancata chiusura alle scadenze. Ciò significa che le parti sono libere di procedervi, ben potendo non procedervi affatto. Se, tuttavia, una delle parti vi procede l'altra non può rifiutare e la liquidazione va fatta con riferimento alla scadenza verificatasi[9].

Può, quindi, accadere che tra la scadenza e l'effettivo adempimento dell'operazione di chiusura decorra un certo lasso di tempo. In tale ipotesi, ma anche in quella in cui manchi del tutto una verifica periodica[10], la dottrina è concorde nel ritenere che il ritardo con cui la chiusura viene chiesta non lascia, comunque, intendere la volontà di rinunciare alla capitalizzazione degli interessi.

Poiché, come già prevedeva la Relazione al codice, la chiusura del conto non implica sempre la cessazione del rapporto, sono ammissibili chiusure intermedie che non implicano lo scioglimento del contratto (A. Napoli 24.1.56)[11].

Le garanzie sul saldo

La dottrina è pressoché concorde nell'attribuire alle parti la facoltà di costituire delle garanzie, sia reali che personali, sul saldo. È, infatti, pacificamente ammessa la costituzione di garanzie per crediti eventuali e futuri[12].

Una lontana statuizione, ammettendo implicitamente la costituzione di garanzie sul saldo, ha previsto che nell'ipotesi in cui a garanzia del saldo di un conto corrente sia prestata una fideiussione limitata al termine di un anno, il correntista non può pretendere che gli venga concessa una dilazione per il pagamento. In tal modo lo scopo della fideiussione verrebbe meno perché la banca non avrebbe alcuna possibilità di costringere il fideiussore a pagare dopo la scadenza (A. Napoli 30.9.64)[13].

Avv. Giampaolo Morini

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[1] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 18 ss.; Scozzafava, Grisi, Conto corrente , in Digesto comm ., IV, Torino, 1989, 4; Miccio, Dei singoli contratti , in Comm. cod. civ ., IV, 4, Torino, 1966, 170 ss.; Santulli, In tema di inclusione nel conto corrente di crediti verso terzi , GC , 1957, I, 1033

[2] Martorano, Conto corrente , in ED , IX, Milano, 1961, 662

[3] Fiorentino, 18 ss.; Scozzafava, Grisi, 662; Miccio, 170 ss.

[4] Cass. civ., 19.10.1956 n. 3751 : La norma dell'art. 1829 c. c., secondo la quale l'inclusione nel conto corrente di un credito verso un terzo si presume fatta con la clausola <> riguarda non solo il caso di semplice rimessa per riscuotere, ma anche e soprattutto il caso di trasferimento del credito mediante girata piena del titolo. In tale ultima ipotesi, il ricevente diventa, sin dalla rimessa, titolare del credito cartolare, e, nel caso di mancato pagamento, egli, ove decida di agire in executivis, agisce in proprio, quale giratario e proprietario del titolo di credito, indipendentemente dal rapporto personale e dalle ragioni dell'emittente nei confronti del girante.

[5] Cass. civ. sez. I, 18.10.1994 n. 8485 : In tema di operazioni in conto corrente, ai sensi dell'art. 1829, parte seconda, c.c. - applicabile anche al contratto di apertura di credito bancario regolata in conto corrente, in virtù del rinvio operato dal successivo art. 1857 - chi riceve (per cessione, nel conto corrente ordinario, o per mandato "salvo incasso", nel conto corrente bancario) un titolo di credito verso terzi, in tanto può liberarsi da propri obblighi, in quanto dimostri che il credito non è stato soddisfatto e reintegri il rimettente nei diritti verso il terzo. Pertanto, in caso di apertura di credito regolata in conto corrente con la clausola "salvo buon fine" per gli accreditamenti di titoli di credito, se la banca, dopo aver accreditato un assegno bancario tratto da terzi, smarrisca il titolo ed il cliente (sia pur su sollecitazione dello stesso istituto di credito) ottenga il decreto di ammortamento dell'assegno, legittimamente la banca procede ad eliminare l'accredito dal conto corrente, in quanto essa, spossessata dell'assegno smarrito e priva del decreto di ammortamento, non è in grado di realizzare il credito oggetto del mandato, mentre il cliente, avendo ottenuto il decreto di ammortamento, deve considerarsi reintegrato nelle sue ragioni.

[6] Miccio, 171

[7] Fiorentino, 21 ss.

[8] Martorano, 663

[9] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 24 ss.; Martorano, Conto corrente , in ED , IX, Milano, 1961, 665; Cavalli, Conto corrente , in EG , VIII, Roma, 1988, 4 ss.

[10] Scozzafava, Grisi, Conto corrente , in Digesto comm ., IV, Torino, 1989, 5 ss.

[11] App. Napoli, 24.01.1956 Gli interessi sul saldo decorrono dal giorno dell'approvazione del conto, cioè dal momento in cui esso diviene liquido ed esigibile. La chiusura del conto corrente, per la quale è bastevole la liquidazione unilaterale del saldo da parte di uno dei correntisti, può compiersi in ogni tempo con riferimento all'ultima scadenza verificatasi, salvo patto diverso, né richiede l'osservanza di particolari forme. La liquidazione del saldo, però, acquista carattere di definitività soltanto dopo che sia stata approvata dall'altro contraente o, in difetto, dal giudice.

[12] Fiorentino, 29; Scozzafava, Grisi, Conto corrente ordinario , in Tratt. Rescigno , 794

[13] App. Napoli, 30.09.1964 : Deve ritenersi esclusa la dilazione di un anno per il pagamento di un saldo in un contratto di conto corrente, quando per tale periodo sia stata prestata fideiussione per l'adempimento del debitore. In caso contrario lo scopo della fideiussione sarebbe annullato ab initio: in vero in caso di mancato pagamento da parte del debitore il fideiussore non potrebbe essere costretto a pagare. Con la chiusura di un conto corrente e l'accertamento del debito del cliente non si ha scioglimento del rapporto contrattuale. Questo rimane in vita fin quando la banca esercita la facoltà di recesso, chiedendo il decreto ingiuntivo. Per cui prima di questo gli interessi devono essere calcolati nella misura prevista per tale contratto (dieci per cento) e non nella misura legale valida per qualsiasi credito per il quale non siano stati determinati per iscritto interessi in misura superiore.


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