Molti addetti ai lavori ignorano le dinamiche dei rapporti disfunzionali che sfociano nella violenza di genere e non applicano le misure previste per tutelare la donna. Pregiudizio o ignoranza?

di Annamaria Villafrate - La violenza di genere perpetrata ai danni delle donne è difficile da riconoscere per chi non ha una preparazione specifica sul tema. Ciò che sorprende però è che sono ancora pochi i magistrati e gli avvocati che si preoccupano di comprendere le dinamiche di una relazione intima disfunzionale.

Reati di genere: le tipologie di violenza

La violenza esercitata sulla donna può essere economica, fisica, psicologica e sessuale. Chi opera nei centri antiviolenza e ascolta i racconti delle donne è in grado di distinguere immediatamente le situazioni di normale conflitto dalla violenza vera e propria. Lenore Walker, la psicologa americana che ha fondato il Domestic Violence Institute, nella sua "spirale della violenza" spiega le tappe attraverso cui si sviluppa una relazione violenta, percorso che gli addetti ai lavori dovrebbero conoscere e riconoscere.

La violenza all'interno della coppia infatti si evolve lentamente e gradualmente. In genere all'inizio l'uomo mette in atto forme di violenza subdole attraverso critiche continue, controllo economico, intimidazione e minacce. A questa fase segue quella dell'isolamento sociale attraverso il divieto di lavorare, frequentare amici e parenti, coltivare passioni e interessi. La svalutazione ha lo scopo di rendere la donna fragile e quindi più facilmente controllabile.

A questo punto in genere il maltrattante inizia a distruggere beni della donna a cui è legata affettivamente. In alcuni casi i maltrattanti possono arrivare persino a vietare alla donna di uscire di casa. In questa condizione di isolamento la donna inizia a dubitare di se stessa e delle sue capacità di affrontare e superare la situazione di sofferenza che sta vivendo. A questo punto, se la donna tenta di ribellarsi, hanno inizio le violenze fisiche per spaventarla e ristabilire il ruolo di supremazia dell'uomo.

In genere dalla violenza fisica si passa poco dopo a quella sessuale. I rapporti intimi avvengono dietro la minaccia di violenze fisiche o ritorsioni. Nella mente della donna si insinua lo stereotipo secondo cui è necessario e doveroso assolvere al proprio dovere coniugale. Alle violenze seguono le "lune di miele", brevissime riappacificazione e richieste di perdono, con la promessa che certe cose non accadranno mai più. La donna a questo punto entra in grave stato confusionale proprio a causa dei comportamenti contraddittori del partner, che anche in questo modo continua a esercitare una forma meschina di controllo sulla compagna.

L'ultima fase della spirale, nelle coppie con figli, è caratterizzata dal ricatto. Alla donna viene fatto credere che, se non si comporterà "bene", le verranno portati via i figli, instillandole l'idea che non ha diritti e non è in grado di mantenerli da sola.

Reati di genere: aspetti critici

Tutte le condotte che l'uomo tiene nei confronti della donna durante la spirale della violenza configurano illeciti di varia natura ed entità che causano rilevanti danni non patrimoniali, che richiedono anni, a volte una vita intera, per rimarginarsi.

Per questo fa indignare che il primo documento internazionale vincolante per proteggere le donne da ogni forma di violenza risalga solamente al 2011. Sicuramente una conquista importante, se pensiamo che in Italia il delitto d'onore o il reato d'adulterio della donna sono stati cancellati in tempi relativamente recenti.

Insomma, l'Italia, paese di tradizione patriarcale, sembra fare fatica ad accettare il nuovo ruolo che la donna vuole ritagliarsi all'interno della società. A preoccupare però non è solo l'intento prevaricatore di uomini prepotenti che pensano di poter controllare la vita della donna, che gli è moglie, compagna, figlia o conoscente.

L'aspetto più grave del problema infatti è che, nonostante la presenza di un corredo legislativo ad hoc piuttosto valido, gli operatori della giustizia, dalle forze di polizia ai giudici, non applicano come dovrebbero le misure previste per tutelare le donne.

Non si capisce se questa insicurezza nel far rispettare i provvedimenti previsti dalla legge è anch'essa frutto del condizionamento culturale da sempre esistente nei confronti del sesso femminile o se nei luoghi deputati alla "giustizia" regni una certa ignoranza sugli strumenti giuridici previsti dal nostro ordinamento e da quello europeo. Quanti richiami dell'Europa servono ancora alle nostre istituzioni prima di provare quel sano senso di vergogna, che stimola a mettersi in discussione e ad agire per cambiare le cose?


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