Per la Cassazione l'allungamento della vita è un bene giuridicamente rilevante e va preso in considerazione nella valutazione della responsabilità

di Valeria Zeppilli - Se la malattia dalla quale è affetto un paziente è incurabile, tale circostanza non è comunque sufficiente a scriminare il lungo ritardo del medico nella corretta diagnosi.

Per la Corte di cassazione, infatti, nella valutazione della responsabilità del sanitario, sia civile che penale, non può non essere preso in considerazione il mancato prolungamento della vita di settimane o addirittura di anni derivante dall'errore, al di là dell'esito infausto e inevitabile della patologia.

Proprio per tale ragione, con la sentenza numero 50975/2017 dell'8 novembre (qui sotto allegata), la quarta sezione penale ha annullato con rinvio ai soli effetti civili (essendosi prescritto il reato) la sentenza con la quale la Corte d'appello di Bari aveva assolto dal reato di omicidio colposo un sanitario che aveva diagnosticato come ernia iatale quello che in realtà era un tumore al pancreas ed era giunto alla diagnosi corretta solo quando ormai qualsiasi intervento sul paziente era divenuto impossibile alla luce dello stato di avanzamento della malattia.

Prolungamento della vita del paziente

I giudici del merito avevano fondato l'assoluzione del sanitario sulla circostanza che la patologia pancreatica, viste le conoscenze attuali, era ad "esito infausto inevitabile" e che solo questa è stata la causa della morte, mentre l'azione del medico non poteva evitarla. Per la Corte d'appello, inoltre, "se una diversa diagnostica, più tempestiva, avrebbe potuto ritardare o meno l'esito infausto resta al di fuori della tipicità penale".

Per la Cassazione, invece, tale posizione "è errata in punto di diritto - e anche di difficile comprensione". Infatti, in campo oncologico, la diagnosi precoce è notoriamente un fattore di assoluto rilievo o per sottoporre il paziente a terapie salvifiche o comunque, come in caso di tumore al pancreas, per apprestare un intervento chirurgico e delle terapie che, sebbene non siano molto probabilmente salvifiche, possano quanto meno comportare un allungamento significativo della vita residua del paziente.

Di conseguenza, posto che se la morte deriva da un errore diagnostico la sua causa è sempre la patologia, non è possibile evitare gli opportuni accertamenti diagnostici né può essere esclusa la responsabilità del medico che, con il proprio errore diagnostico, lasci il paziente nell'inconsapevolezza di una malattia tumorale, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l'alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all'intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita". Quest'ultimo, infatti, è un bene giuridicamente rilevante, a prescindere dalla sua estensione temporale.

Corte di cassazione testo sentenza numero 50975/2017
Valeria Zeppilli

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