Presentati due emendamenti ieri al ddl. Slitta ancora una volta l'approvazione della legge che introduce il reato di tortura in Italia

di Marina Crisafi - Niente tortura se la sofferenza deriva da un uso legittimo della forza. È quanto prevede uno degli emendamenti presentati ieri al ddl che introduce il reato di tortura in Italia, facendo slittare ancora una volta l'approvazione della legge per il cui ritardo l'Italia è stata più volte censurata dall'Europa.

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Il ddl, infatti, a seguito dei due emendamenti presentati dai relatori Enrico Buemi (Psi-Per le autonomie) e Nico D'Ascola (Ap) e per il termine per gli eventuali subemendamenti, torna all'esame della commissione giustizia. E ciò, ovviamente, nonostante venga trovata "la quadra" richiederà un nuovo passaggio alla Camera a causa delle modifiche apportate al testo proposto dalla commissione.

Quanto alle proposte avanzate dai relatori, le stesse introducono due nuovi elementi alla fattispecie di reato ex art. 613-bis c.p., precisando che non può essere considerata tortura l'azione di un pubblico ufficiale nell'esercizio legittimo delle sue funzioni (ma solo se c'è l'aggravante dell'abuso di potere) e che si possa parlare di tortura solo se il fatto è commesso tramite più condotte, ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante.

Rimangono invariate invece le altre novità del disegno di legge.

Il nuovo reato ex art. 613-bis del codice penale

Il ddl mira ad introdurre il nuovo art. 613-bis al codice penale, punendo con la reclusione da 3 a 10 anni chiunque, "con reiterate violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico" a una persona che:

- sia privata della libertà personale;

- sia affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza;

- si trovi in condizioni di minorata difesa.

Le aggravanti se la tortura è commessa da un pubblico ufficiale

La nuova norma prevede che in alcuni casi la pena sia più severa rispetto all'ipotesi base. In particolare, è sanzionata con la reclusione da 5 a 12 anni la tortura posta in essere da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni o da un incaricato di un pubblico servizio nell'esecuzione dello stesso.

Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura

Il testo introduce anche un'ulteriore autonoma fattispecie di reato per i casi di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.

Il nuovo art. 613-ter c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, il p.u. o l'incarico di pubblico servizio che, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istigano un altro pubblico ufficiale o incaricato a commettere il delitto di tortura.

Uso legittimo della forza niente reato per i pubblici ufficiali

Il primo emendamento presentato ieri mira a tutelare le forze dell'ordine nell'esercizio delle loro funzioni, specificando, come spiegato dallo stesso relatore Buemi, che il reato di tortura è escluso se le sofferenze risultano "unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti".

Ciò significa, ha precisato Buemi al Sole24Ore che "se magari un agente rompe il braccio ad uno mentre lo arresta non si può far rientrare nella tortura".

Tortura solo se il fatto è commesso con pluralità di condotte

L'altro emendamento messo a punto dai due relatori precisa che per essere considerato tortura, il fatto deve essere commesso "mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona".


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