Ecco come è contrastata dall'ordinamento la "Revenge Porn", la vendetta consistente nel pubblicare immagini intime altrui

di Valeria Zeppilli - Deplorevole e da incubo, il fenomeno del "Revenge Porn", letteralmente tradotto "Porno-vendetta" sta prendendo piede in tutto il mondo, Italia compresa. 

Si tratta, in sostanza, di una forma di vendetta, solitamente in danno di ex partner, condotta caricando sul web e diffondendo (grazie soprattutto ai social) immagini e video a contenuto sessuale aventi come "protagonista" proprio la vittima della ritorsione

Diversi Stati, anche in Europa, allarmati dalle conseguenze di simili condotte, hanno deciso di punire il Revenge Porn, elevandolo a forma autonoma di reato. 

Il reato di Revenge Porn nei paesi anglosassoni

In prima fila ci sono l'Inghilterra e il Galles: a seguito dell'introduzione della nuova fattispecie penale, già oltre duecento persone hanno subito una condanna per aver ricattato ex partner attraverso la diffusione di video o immagini che superavano di molto la soglia della loro intimità. Le denunce sono state addirittura 1.160. 

Gli USA sono leggermente indietro, ma comunque anche da oltre Oceano la volontà di punire il fenomeno è palese: già 27 Stati hanno iniziato a legiferare in materia, al fine di fornire ai cittadini gli strumenti per difendersi e alle autorità quelli per intervenire. 

E in Italia?

In Italia, invece, siamo ancora molto indietro, nonostante sia chiaro che il Revenge Porn vada combattuto: manca, infatti, un reato autonomo e gli strumenti per perseguire penalmente tale prassi necessitano dell'interpretazione.

L'interpretazione, almeno quella, è però possibile: basti pensare che la pubblicazione di immagini o video a carattere sessuale contro la volontà dei soggetti ritratti o ripresi è una forma illecita di trattamento dei dati personali oltre che un'estrinsecazione del reato di diffamazione.

Chi può essere punito?

Oltre a rispondere dinanzi al giudice penale, chi commette un fatto qualificabile come Revenge Porn può anche essere chiamato a risarcire il danno.

Occorre quindi capire bene quali soggetti possono essere ritenuti responsabili.

Ovviamente chi pubblica il video o l'immagine, ma non solo: ad esso sia affiancano anche coloro che li divulgano nella rete.

E i siti che li ospitano?

La domanda sorge spontanea, specie leggendo la vicenda di un quattordicenne irlandese che ha da poco citato in giudizio anche il social network Facebook, proprio per aver ospitato immagini di nudo diffuse per vendetta.

In realtà, però, con gli strumenti che il nostro ordinamento offre non è agevole allo stato attuale ipotizzare una responsabilità degli Isp o dei gestori di social network: manca infatti una regola assoluta che imponga a tali soggetti di attivarsi per eliminare immagini o video a meno che non vi sia diretta conoscenza della loro pubblicazione o la cancellazione non venga eseguita nonostante l'ordine di un'autorità pubblica.

Qualcosa in più, però, forse andrebbe fatto: una giusta redistribuzione (o meglio estensione) delle responsabilità potrebbe essere un passo in più verso l'obiettivo della vittoria della battaglia contro il fenomeno.




Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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