Per la Cassazione il costume "culturale" del Paese d'origine non giustifica i soprusi del futuro genero sulla minore dissenziente

di Lucia Izzo - Va condannato sia per maltrattamenti in famiglia che per concorso in violenza sessuale, il padre indiano della minore che consente al futuro genero di abusarne sessualmente, costringendo la figlia ad avere rapporti anche contro la sua volontà. Non è consentito addurre alcuna giustificazione "culturale" per privare tale comportamento di valenza illecita.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 40663/2016 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello nei confronti della sentenza che, condannando un uomo per maltrattamenti in famiglia, aveva dichiarato assorbito il reato di concorso in violenza sessuale.


Il genitore era colpevolmente connivente nei confronti del "promesso sposo" della figlia quindicenne, pur essendo egli consapevole delle forti proteste della ragazzina avvero le continue e del tutto sgradite pretese sessuali del suo fidanzato, soggetto condannato, nella parallela e contestuale sentenza, sia per violenza sessuale che per maltrattamenti verso la stessa ragazza


Il padre della minorenne, come riporta il testo del capo di imputazione, avrebbe con condotte reiterate, ma esecutive di un medesimo disegno criminoso, costretto la figlia a sottostare ai maltrattamenti e agli abusi sessuali dell'uomo, fatto sposare con rito religioso, il quale, una volta trasferitosi in Italia presso la casa familiare della ragazza, l'aveva costretta ad avere rapporti sessuali con lui nonostante il netto rifiuto della ragazza, sottoponendola a violenze fisiche e psicologiche dopo essere stato rifiutato.


Il Procuratore deduce la manifesta illogicità della motivazione, per avere il giudice ritenuto l'assorbimento del reato di violenza sessuale nel delitto di maltrattamenti, affermando che la condotta dell'imputato, lungo dal costituire sintomo dell'intento di abbandonare la figlia alla condotta violenza del fidanzato-promesso sposo, avrebbe rappresentato piuttosto l'espressione di una modalità maltrattante che trova le sue radici nella formazione culturale della famiglia (indiana).


Una motivazione fortemente illogica per gli Ermellini che si dicono invero sorpresi del fatto che la "patente di subcultura" sia stata attribuita dal giudice al genitore per giustificare, da un lato, il delitto di maltrattamenti ed escludere, dall'altro, il suo coinvolgimento nella deliberata e colpevole tolleranza nei confronti del "genero" per le condotte abusanti commesse in danno della figlia con loro convivente.


Si è creato, evidenzia il Collegio, un "triangolo familiare" che vede protagonisti, da un lato suocero e genero tra loro alleati in una sorta di "patto di ferro" che doveva vedere la ragazza assoggettata per effetto del vincolo paraffettivo creato, ai valori sessuali del "marito", e dall'altro la minore, "vittima sacrificale in ossequio a regole non scritte di legittimità del dominio sessuale per effetto del vincolo matrimoniale secondo i costumi indiani". 


Tuttavia, precisano il giudice, il padre era in realtà soggetto tenuto a vigilare sulla figlia minore per evitare che la stessa potesse subire le violenze sessuali che aveva denunciato ripetutamente, rimanendo inascoltata.


La motivazione è pertanto illogica, proprio in virtù delle denunce della ragazza:  in tema di responsabilità ex art. 40 cpv. cod. pen. del genitore esercente la potestà sulla figlia minore, laddove, consapevole degli abusi sessuali da costei subiti ad opera di terzi (anche facenti parte del suo nucleo familiare) perchè diretto testimone ovvero recettore delle denunce ad opera della vita, riveste una specifica posizione di garanzia ai sensi dell'art. 147 cod. civ., che vale anche per lo straniero residente in Italia e assoggettato al regime civilistico interno.


Egli rispondere a titolo quindi di casualità omissiva degli atti di violenza sessuale compiuti in danno del minore nei confronti del quale riveste tale specifica posizione, purché sia a conoscenza dell'evento o in grado di conoscerlo e, ancora, sia a conoscenza dell'azione doverosa su di lui incombente e abbia la possibilità soggettiva di impedire l'evento.


Nel caso di specie è incontestabile che l'uomo fosse a conoscenza della reale situazione di oppressione sessuale da parte del fidanzato-futuro sposo della vittima come dimostrano la sentenza parallela di condanna, le dichiarazioni rese dall'insegnante della minore con cui questa si era confidata, e dalla dirigente scolastica alla quale erano state fatte analoghe confidenze.


Non può affatto giustificarsi il genitore, per effetto di una particolare, non condivisibile e comunque biasimevole formazione culturale, che urta contro le coscienze, ritenesse di avere il diritto di imporre alla figlia di ubbidire ai voleri dello sposo. Per i giudici questa appare come "una vera e propria banalità che non può trovare ingresso nel nostro sistema giuridico e che non può non sorprendere per la facilità e superficialità con la quale tale affermazione sua stata fatta quasi nel segno dell'ovvietà".


Inoltre, sotto il profilo tecnico-giuridico, tra i due reati in contestazione, per granitica giurisprudenza di legittimità, non può esistere assorbimento, in quanto il delitto ex art. 572 cod. pen., concorre con quello di cui all'art. 609-bis cod. pen. qualora le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledono anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, attesa la diversità dei beni giuridici offesi.


L'assorbimento si potrebbe configurare soltanto nel caso in cui vi fosse piena coincidenza tra le due condotte, circostanza non avvenuta nel caso di specie in quanto i maltrattamenti lamentati dalla ragazza al proprio genitore non erano strumentali esclusivamente alla violenza sessuale, ma assumevano contorni indipendenti sfocianti in ripetute umiliazioni o privazioni dell'autonomia decisione ad opera del genitore che non esitava a imporre alla figlia limitazioni di ogni tipo nel segno della cieca ubbidienza al fidanzato poi sposo. La sentenza va dunque annullata senza rinvio.

Cass., III sez. pen., sent. n. 40663/2016

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