L'ordine di demolire rimane una sanzione amministrativa anche se disposto dal giudice penale

di Marina Crisafi - Anche se disposto dal giudice penale, l'ordine di demolizione rimane una sanzione amministrativa e dunque non si prescrive. Ad affermarlo è la Cassazione con la recentissima sentenza n. 35052/2016, qui sotto allegata, sgombrando il campo da ogni equivoco in materia di applicazione "analogica" agli abusi edilizi dell'art. 173 del codice penale sulla prescrizione delle pene.

Relativamente alla pretesa estinzione per prescrizione dell'ordine di demolizione, ha chiarito la Cassazione, la stessa è fondata su una decisione del tutto isolata ed "eccentrica" del giudice di merito (Trib. Asti, ordinanza del 3.11.2014) che ha dichiarato estinto per decorso del tempo l'ordine di demolizione sul presupposto che si trattasse non già di una sanzione amministrativa, bensì di una vera e propria pena, muovendosi sulla declinazione "sostanzialistica" della giurisprudenza della Corte Europea.

Per gli Ermellini, invece, una lettura sistematica delle norme impone di ribadire la natura amministrativa del provvedimento e la sua dimensione accessoria e ancillare rispetto al procedimento penale, pur quando ordinata dal giudice penale.

In sostanza, il provvedimento non può mutare in funzione dell'autorità che la dispone e la stessa Cedu ha recentemente ribadito la compatibilità della demolizione con la Convenzione (cfr. sentenza Ivanova aprile 2016), affermando che anche se il suo unico scopo è quello di garantire l'effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, la stessa può essere considerata come "diretta a ristabilire lo stato di diritto", salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell'interessato; una misura quindi rientrante nella "prevenzione dei disordini e finalizzata a promuovere il benessere economico del paese".

I giudici colgono anche l'occasione per invitare a non considerare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo come un "diritto à la carte dal quale scegliere l'ingrediente emerneutico ritenuto più adatto", perché l'utilizzo distorto delle decisioni delle corti europee può condurre, come nel caso dell'applicazione analogica della prescrizione alla demolizione, a compiere una "disanalogia con la quale si universalizza abitrariamente la portata di un principio affermato in un determinato contesto". Il principale ostacolo al procedimento analogico adoperato nell'applicazione della prescrizione alla demolizione risiede nel limite "logico" del tenore lessicale della disposizione di cui all'art. 173 c.p., ha proseguito la Corte, "una norma dall'univoco significato letterale, che non consente esiti ermeneutici contra legem e che impedisce la sovente malintesa interpretazione conforme".

Va dunque riaffermato il principio di diritto, ha concluso la S.C., secondo il quale: "la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso". Per tali sue caratteristiche la demolizione, dunque, "non può ritenersi una pena nel senso individuato dalla giurisprudenza della Cedu e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p.".

Cassazione, sentenza n. 35052/2016

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