L'avvocato subentrato nella difesa non può far uso di espressioni sconvenienti ed offensive sull'operato del predecessore

Avv. Laura Bazzan - Non sono consone ai doveri di probità e decoro professionale e ledono i doveri di lealtà e correttezza cui è tenuto ogni avvocato le espressioni offensive volte a denigrare la precedente attività difensiva quando si subentra al mandato. È quanto ha stabilito il CNF con la sentenza n. 99 del 17.07.2013, recentemente ripubblicata sul proprio sito e di seguito allegata, con la quale l'organo disciplinare ha ritenuto di confermare la sanzione della censura già comminata dal Consiglio dell'Ordine territoriale ad un avvocato che, con riferimento all'attività svolta dal difensore di primo grado, usava nell'atto di appello espressioni del tipo "il GUP non avrebbe dovuto accogliere frettolosamente l'incauta richiesta difensiva di ricorrere al rito abbreviato" e "l'imputato si dissocia dall'opzione voluta dal suo legale anche se tardivamente ma è pur vero che l'assenza di cognizioni tecniche specifiche induce il profano in errore".

A nulla sono valse le censure mosse dal ricorrente che sosteneva di non aver avvertito il collega del proprio subentro nella convinzione che vi avrebbe provveduto il cliente e di non aver voluto censurare il precedente difensore pur avendone criticato le condotte giudiziarie. Il CNF, infatti, ha rilevato che lo stesso ricorrente aveva ammesso di non aver personalmente messo al corrente il collega sostituito della propria nomina, contravvenendo al disposto dell'art. 33 c. 1 (ora art. 45) c.d.f., e che le frasi utilizzate nell'atto di impugnazione integrano proprio le espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio vietate dall'art. 20 (ora art. 52) c.d.f.

Riprendendo un orientamento già espresso con la sentenza

n. 185/2009, il CNF si è così pronunciato "le espressioni usate dall'incolpato integrano un vero e proprio biasimo dell'operato del collega sostituito e rappresentano più che altro un'ostentata e non necessaria deplorazione dell'operato professionale altrui, in presenza della quale risulta implicito l'animus iniuriandi che rende evidente la violazione delle regole di comportamento alle quali un avvocato deve attenersi". Altro è la legittima critica rivolta ad un provvedimento giudiziario o alle scelte processuali del collega, altro è qualificare l'iniziativa di quest'ultimo come incauta e addirittura determinata dall'assenza di cognizioni tecniche specifiche, "espressioni gravi e forti di indubbia valenza offensiva che, peraltro, avrebbero potuto essere sostituite da espressioni sicuramente più eleganti e, pur tuttavia, compatibili con le esigenze di giustizia rivendicate dall'incolpato e con la tutela degli interessi e dei diritti del cliente".

CNF sent. n. 99 del 17.07.2013

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