La pubblicità sull'attività professionale non può mai essere autocelebrativa o comparativa

di Marina Crisafi - Avvocati, attenzione a non vantarsi troppo nel farsi pubblicità o nel fare paragoni con gli altri colleghi, perché come dice il proverbio "chi si loda si imbroda" e l'elogio eccessivo può ritorcersi in biasimo. È questo quanto si ricava dalla sentenza, pubblicata in questi giorni sul sito istituzionale (la n. 163/2015, qui sotto allegata), con la quale il Consiglio Nazionale Forense ha inflitto la sanzione dell'avvertimento a un avvocato, parzialmente modificando la sanzione della censura irrogata dal Consiglio dell'ordine territoriale.

Nel caso di specie, il professionista nel rilasciare un'intervista a un quotidiano aveva "enfatizzato la propria capacità professionale utilizzando frasi dal contenuto autoelogiativo" (tra le altre cose, dichiarandosi "un punto di riferimento per i propri clienti", una "fucina di professionisti", di poter "scrivere un libro per tutte le cose" fatte negli anni di attività, ecc.) e affermando di distinguersi dagli altri avvocati, a suo dire non altrettanto informati e documentati.

Per il Coa, l'avvocato aveva violato diversi principi del codice deontologico (tra cui gli artt. 17 e 18) per cui meritava la sanzione della censura, ma il professionista proponeva ricorso sostenendo che l'articolo era stato frutto di un'iniziativa del suo autore, che dallo stesso non emergeva che questi avesse enfatizzato la propria capacità professionale e speso il nome di clienti, né inoltre che potesse ravvisarsi alcun intento pubblicitario. Senza contare che la decisione impugnata sembrava pretendere di vietare l'utilizzo delle leve concorrenziali introdotte dalla c.d. legge Bersani, trascurando il diritto-dovere di informazione di cui all'art. 40 del codice deontologico.

Per il Cnf, le censure sono infondate. Le violazioni contestate sussistono relativamente sia all'enfatizzazione della capacità professionale che al carattere elogiativo delle affermazioni rese, con la conseguente violazione del precetto dell'art. 18 e delle regole relative all'esercizio della pubblicità informativa di cui all'art. 17. Quanto alla legge Bersani, ha affermato il Consiglio, "l'art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito nella n. 248/2006, abrogando le disposizioni che non consentivano la c.d. pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, non ha affatto abrogato l'art. 38, c. 1, del r.d.l. n. 1578/1933, il quale punisce comportamenti non conformi alla dignità ed al decoro professionale.

Dovendosi pertanto interpretare l'art. 17 alla luce di tale disposizione, la pubblicità informativa deve essere consentita nei limiti fissati dal codice deontologico e comunque deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro professionale". Il codice deontologico, infatti, si legge ancora in sentenza
, "consente non una pubblicità indiscriminata (ed in particolare non comparativa ed elogiativa), ma la diffusione di specifiche informazioni sull'attività, anche sui prezzi, i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo. La peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria ed alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'ordinamento affidata al potere-dovere dell'ordine professionale".

Le dichiarazioni alla stampa da parte dell'avvocato, nella vicenda, si risolvono invece in un'enfatizzazione della capacità professionale che non solo è espressamente vietata dalla norma, "ma che appare chiaramente stonata dinanzi al richiamo ai criteri di equilibrio e di misura ed al rispetto dei doveri di discrezione e di riservatezza di cui all'art. 18". E il contrasto è ancora più marcato con le previsioni dell'art. 17, dal momento che nelle affermazioni dell'avvocato si rinvengono "una serie di considerazioni di carattere quanto meno auto-elogiativo" e comparativo.

Ad essere accolto è solo l'ultimo motivo di doglianza relativamente alla responsabilità ex art. 17-bis del codice, osservando che il fatto che nell'articolo si leggeva il tribunale al quale era iscritto l'avvocato era riferibile a un refuso. Da qui, il parziale accoglimento del ricorso e la conseguente riduzione della sanzione.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 163/2015

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: