In allegato la nota redatta dal Consiglio Nazionale del notariato che chiarisce i dubbi applicativi della legge n. 76/2016

di Valeria Zeppilli - La recente legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto sta avendo un forte impatto, mediatico e non solo.

Anche gli aspetti giuridici dubbi sono numerosi e molte sono le difficoltà di districarsi tra i meandri della legge, tanto che il Consiglio nazionale del notariato ha diffuso, con l'ultimo numero del CNN notizie del 20 giugno 2016, un'interessante nota (qui sotto allegata) nella quale si è soffermato sulla legge numero 76 del 20 maggio 2016 riflettendo sui profili generali degli istituti da essa regolati e fugando numerosi dubbi.

Ad esempio: che confini ha l'affermazione in forza della quale il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termini e condizioni? Per il Consiglio nazionale del notariato essi sono circoscritti al rapporto di convivenza in senso stretto, ma non possono estendersi sino ad assoggettare al divieto anche la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i conviventi.

Questi, insomma, ben possono decidere di stabilire preventivamente come gestire il patrimonio in caso di cessazione della convivenza.

Sempre con riferimento ai rapporti patrimoniali, il CNN ha chiarito che il regime normale per le convivenze di fatto è quello della separazione dei beni e non, come nel matrimonio, quello della comunione di beni. Resta salva la possibilità di registrare la convivenza in anagrafe dichiarando di essere in comunione.

Peraltro anche il regime di comunione disciplinato dal codice civile può essere modificato dai conviventi, ad esempio includendo nei beni comuni anche gli acquisti fatti prima dell'instaurazione della convivenza.

Altri aspetti di rilievo sui quali si è soffermata la nota in commento sono quelli inerenti il diritto del convivente di partecipare agli utili nel caso in cui egli presti la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro, in misura proporzionale al lavoro prestato, e il suo diritto di abitare la casa in cui ha convissuto con il partner deceduto per due anni (tre in caso di coabitazione con figli minori o disabili) o per una durata pari a quella maggiore in cui c'è stata convivenza, comunque non superiore a cinque anni.

Sempre in caso di decesso del convivente, il superstite può succedergli nel contratto di locazione della casa in cui i due avevano fissato la comune residenza.

Quelli riportati non rappresentano, tuttavia, che una minima parte della lunga disamina fatta dal Consiglio nazionale del notariato che, con la guida in commento, ha offerto a tutti gli operatori del settore e agli interessati un valido strumento per approcciarsi in maniera più consapevole alla nuova disciplina.


La nota del Consiglio Nazionale del notariato sulle unioni civili
Valeria Zeppilli

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