Sanzione disciplinare per il magistrato che viola l'equa ripartizione degli incarichi, ignorando anche i solleciti del Presidente del Tribunale

di Lucia Izzo - Va sanzionato il magistrato che, in spregio alla legge e ai solleciti del Presidente del Tribunale, non abbia rispettato il criterio dell'equa ripartizione degli incarichi tra gli iscritti agli albi (ex art. 23 disp. att. c.p.c.) e nominato continuamente gli stessi consulenti.

Questo è quanto stabilito dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10157 del 18 maggio 2016 (qui sotto allegata).


Va confermato quindi il giudizio disciplinare a cui il magistrato presso il Tribunale di Locri è stato sottoposto: la Sezione disciplinare del CSM ha incolpato il giudice della violazione degli artt. 1 e 2, lettere a), g) e n), del d.lgs. n. 109 del 2006, per avere tra il 2011 e il primo trimestre del 2014, effettuato nomine di consulenti tecnici d'ufficio in controversie previdenziali in violazione del criterio della rotazione.

Su totale di 2.239 incarichi, 415, 252 e 177 erano stati affidati rispettivamente a tre professionisti e, nell'anno 2009, erano stati conferiti incarichi a due dei tre professionisti in numero di 172 e 71. A tal proposito, il giudice era stato anche oggetto di specifici richiami rivoltigli dal Presidente del Tribunale.


La Sezione disciplinare, affermando la responsabilità dell'incolpato, ha applicato la sanzione della perdita dell'anzianità di un anno.

Condanna confermata anche in sede di legittimità, posto che i motivi di gravame si rivelano privi di fondamento.

Gli Ermellini rammentano, in primis, come l'articolo 2 lettere g) ed n) del d.lgs. n. 109 del 2006 preveda, tra gli altri, come illeciti disciplinari di un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni: "g) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile" e "n) la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e in/armatici adottate dagli organi competenti".


Nel caso di specie la norma che su cui il ricorrente principalmente controverte è l'art. 23 disp. att. c.p.c. che nella sua prima parte recitata come "Il presidente del tribunale vigila affinché, senza danno per l'amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell'albo in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall'ufficio, e garantisce che sia assicurata l'adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici".


La regola fondamentale stabilita dalla norma in esame è che "gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti all'albo" mentre la successiva specificazione relativa al limite del 10% (che è stata introdotta dall'art. 52 della legge 69/09) costituisce un criterio da applicarsi dal Presidente del Tribunale in relazione agli incarichi complessivi conferiti da tutti i magistrati dell'Ufficio ad un singolo consulente.

Difatti, solo il Presidente è in condizione di avere una cognizione generale dell'insieme degli incarichi attribuiti ad un consulente e, in caso di superamento del limite in questione comunicare la circostanza ai magistrati dell'Ufficio affinché si astengano da ulteriori nomine.


In tal senso può condividersi l'interpretazione fornita dal ricorrente, ma ciò non dà fondamento ai suoi motivi di impugnazione. Correttamente, l'impugnata sentenza ha escluso che il limite del 10% fosse da applicare agli incarichi conferiti dai singoli magistrati in ragione della ovvia considerazione che nei tribunale di dimensioni medio - grandi quel limite sarebbe talmente alto che ciascun giudice potrebbe concentrare gli incarichi da esso conferiti su un unico consulente senza mai raggiungerlo.


Il criterio corretto a cui occorre fa riferimento è, quindi, quello dell'equa distribuzione degli incarichi che fa in ogni caso capo ai singoli magistrati e che non è suscettibile di una predeterminazione numerica o percentuale, dovendosene di caso in caso verificare la violazione.

D'altronde, nei due capi di incolpazione non si fa alcun cenno al predetto limite del 10% ma si fa riferimento alla mancata osservazione del criterio di rotazione degli incarichi di cui viene indicato il considerevole numero totale e della conseguente violazione del dovere di correttezza e diligenza.


La stessa sentenza basa la propria decisione su una valutazione del complesso numerico degli incarichi conferiti dal ricorrente a ciascuno dei tre consulenti presi in esame, determinandone la percentuale in relazione a quelli conferiti ad altri consulenti, senza che, a tale proposito, fosse necessario fare un raffronto con il numero delle sentenze depositate o con gli incarichi conferiti ai medesimi consulenti dagli altri giudici del Tribunale, non avendo tale ultima circostanza rilevanza alcuna dovendo il comportamento di ogni singolo magistrato essere valutato distintamente da quello degli altri.


Ineccepibile, secondo i giudici della Suprema Corte, anche la motivazione della Sezione disciplinare relativamente all'avvenuto richiamo attuato dal Presidente del Tribunale, che era intervenuto per ben due volte, nel 2009 e nel 2012, contestando al ricorrente l'eccessiva concentrazione degli incarichi senza, però, ottenerne alcuna modifica del comportamento.


Circostanza, quest'ultima, in relazione alla quale la Sezione disciplinare ha accertato incontrovertibilmente la violazione dell'art. 2 lett. n) del d.lgs. n. 109 del 2006 e che fa escludere la possibilità di una autonoma interpretazione in buona fede da parte del ricorrente perché questi era tenuto, in ogni caso, a seguito dell'esercizio del potere di vigilanza da parte del presidente del Tribunale che aveva impartito disposizioni sul servizio giudiziario ai sensi della norma citata, ad attenersi ad esse senza dar corso ad una arbitraria e, comunque, non corretta interpretazione dell'ari 23 disp. att. c.p.c.

Cassazione, Sezioni Unite Civili, sent. 10157/2016

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