Serve la prova inequivocabile della volontà di avvalersi dell'attività professionale

di Lucia Izzo - Per rivendicare il proprio compenso il professionista deve dimostrare di aver ricevuto l'incarico dal cliente.

Lo ha ribadito il Tribunale di Napoli, nella sentenza n. 9200/2015, pronunciandosi sul ricorso avanzato da un ingegnere.

Il professionista evidenzia di aver lavorato per cinque anni al servizio di una ditta edile, operante nel campo degli appalti pubblici: nonostante il rapporto di lavoro sia stato definito per quel lasso di tempo da un contratto scritto, in seguito il ricorrente sostiene di aver continuato a prestare la propria opera come consulente e di aver partecipato per la ditta a una serie di incontri propedeutici all'ottenimento di lavori e appalti.

Dinnanzi ai giudici partenopei l'ingegnere chiede che si provveda al pagamento dei compensi a lui spettanti per il servizio reso nei diversi anni in cui si è protratto il rapporto lavorativo "tacito" non scritto.

Contestando la tesi attorea, la società convenuta nega di aver intrattenuto con il professionista alcun rapporto contrattuale, anche orale, evidenziando che la partecipazione dell'attore ha riguardato pochi incontri ed è avvenuta per fini e interessi personali dello stesso.

Il Tribunale, nel rigettare la domanda dell'ingegnere, rammenta che per consolidata giurisprudenza "il rapporto d'opera professionale, ex art. 2222 c.c. e seguenti, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso".

D'altronde, chiariscono i giudici, per la giurisprudenza di legittimità, è sull'attore che grava l'onere della prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, dell'esistenza e dell'entità del credito, quando il convenuto contesta il diritto al compenso.

Nel caso di specie è stato lo stesso attore a negare che sia intervenuto un incarico formale e a non aver offerto, secondo i giudici, prova adeguata del diritto vantato.

Appare decisiva la circostanza che in precedenza le parti abbiamo stipulato un contratto scritto per disciplinare il rapporto di lavoro, poi risoltosi con una revoca formale: ciò rende difficilmente configurabile la conclusione in forma orale di un successivo contratto tra le stesse parti.

Respinta la domanda attorea, il professionista è anche condannato al pagamento delle spese di lite.


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