Il meccanismo ex art. 584 c.c. è lecito e non fraudolento anche se attivato dai parenti del proprietario e se non si versano le somme entro i termini

di Lucia Izzo - Non si ha il reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) se la moglie e la cognata del proprietario espropriato, dopo l'aggiudicazione del bene, presentano istanze di aumento del sesto del prezzo senza poi versare la somma entro il termine previsto.

Il meccanismo previsto dall'art. 584 c.p.c. è lecito anche se attivato dai parenti del proprietario.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, VI sezione penale, nella sentenza n. 8020/2016 (qui sotto allegata) su ricorso di un uomo condannato al risarcimento dei danni, patrimoniali e morali, in favore della parte civile per aver commesso il reato di cui all'art. 353 c.p.

Per la Corte d'Appello, l'imputato avrebbe alterato il regolare funzionamento e la libera partecipazione alla gara attraverso "mezzi fraudolenti", consistiti nel far presentare, in due occasioni, istanze di aumento del sesto del prezzo, successive all'aggiudicazione del bene da parte della parte civile, con l'effetto di far prolungare la gara e con l'intento di aggiudicarsi il bene messo all'asta.

Per i giudici, le ripetute offerte in aumento di un sesto, ex art. 584 c.p.c., sul prezzo dell'immobile aggiudicato, effettuate per conto dell'imputato dalla moglie e dalla cognata, non seguite dal versamento della somma nel termine, avevano avuto lo scopo di turbare lo svolgimento della gara, per abbassare il prezzo d'asta e consentire all'imputato di poter riacquistare l'immobile di sua proprietà, sottoposto a procedura di espropriazione immobiliare.

Irrilevante la circostanza che la parte civile si sia comunque aggiudicata l'immobile, poichè per i giudici il danno esiste sia con riferimento al ritardo dell'aggiudicazione, sia per il maggior prezzo di acquisto versato a seguito degli aumenti di un sesto.

Il ricorrente, dinnanzi alla Cassazione, assume che la condotta sia tuttavia da ritenersi scriminata dall'art. 51 c.p., in quanto, utilizzando il meccanismo procedurale previsto dall'art. 584 c.p.c., non avrebbe fatto altro che esercitare un suo diritto.

Anche gli Ermellini ritengono che la condotta posta in essere dall'imputato non sia configurabile come fraudolenta. Il ricorrente, o più precisamente, sua moglie e sua cognata hanno attivato regolarmente una procedura prevista dal codice di procedura civile, che prevede la possibilità di presentare offerte in aumento successive all'aggiudicazione.

La norma regola anche le conseguenze derivanti dal mancato deposito del prezzo offerto in aumento, che comportano la perdita della cauzione.

Appare quindi difficile sostenere che l'attivazione di una procedura prevista espressamente dal codice di rito possa qualificarsi come "mezzo fraudolento", nel senso cui si riferisce l'art. 353 c.p.: semmai, chiariscono i giudici "è l'abuso di questa facoltà procedimentale che potrebbe diventare un mezzo fraudolento".

Nel caso in esame deve escludersi che vi sia stato un abuso, considerando che le istanze di aumento di un sesto sono state fatte solo in due occasioni, senza peraltro arrecare un danno alla parte civile, se si considera che la prima volta questa si è aggiudicata il bene con l'offerta di euro 100.682, per poi aggiudicarsi il bene in via definitiva al minor prezzo di euro 93.000.

Il fatto che all'asta abbiano partecipato la moglie e la cognata dell'imputato non è circostanza che, di per sé, può rilevare ai fini della sussistenza del reato di turbata libertà degli incanti.

In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con la revoca delle statuizioni civili.

Cass., Vi sez. pen., sent. 8020/2016

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