Secondo l'esperto il femminicidio non è causato dal disagio economico, ma dalla paura di apparire incapace

di Gennaro Iasevoli, docente di psicologia giuridica, opinionista - Nel giorno della festa internazionale dell'8 marzo, non può mancare una riflessione su quanto ancora resta da fare contro le discriminazioni e le violenze sulle donne che, come dimostrano le cronache dell'ultimo periodo, non conoscono pause. E se dalla politica arriva l'idea di aprire "uno sportello rosa in tutte le caserme dei Carabinieri per creare un punto di ascolto in tutti i comuni" come evidenziato dalla nota pubblicata oggi da Stefano Pedica del Pd, una riflessione sulle ragioni psicologiche che stanno alla base di una delle più grave aberrazioni maschili, il femminicidio, può dare il suo piccolo contributo nella lotta al fenomeno.

Fenomeno che, a detta dello scrivente, può scaturire e trovare linfa vitale, nella superbia, nell'incapacità di riconoscere la propria inadeguatezza e nel misurarsi con i propri errori da parte dell'uomo e, in particolar modo, del partner, che diventa assassino, fingendo prima di tutto con se stesso e poi ingannando la famiglia e gli amici.

Un marito gradasso, prepotente, bugiardo con se stesso, con passioni turbolenti e ballerine, nonostante voglia apparire premuroso ed affettuoso alla propria compagna con i suoi ragionamenti appiccicosi ed asfissianti, in cuor suo si sente indegno ed inadeguato; tanto più non sopporta poi una moglie psicologicamente sana, che vorrebbe vivere normalmente. Teme di essere scoperto e quindi non vuole che si sappia in giro di aver deluso la propria moglie.

Questo è il punto da studiare attentamente in sede psicologica e criminologica, perché il delinquente ha paura di essere giudicato come marito inadeguato, se la moglie, una volta riguadagnata la libertà dal suo aguzzino, si fa notare in giro più felice con un nuovo compagno e magari attende anche la nascita di un figlio.

Ormai molte pagine giornalistiche di cronaca nera sono riportate nei testi di criminologia e tutto spiega come la cattiveria del femminicida voglia annullare attraverso l'uccisione la compagna, perché lei, col solo suo esistere all'infuori di lui, dopo la separazione, potrebbe far capire al mondo che egli era inadeguato ad una convivenza normale.

La premeditazione del femminicidio è quasi sempre dovuta a questo. Quando una coppia si avvia alla separazione, ove ci fossero segnali di pericolosità comportamentale, occorrerebbe preventivamente "disinnescare l'arma carica", cioè la psiche malata di un coniuge prepotente, orgoglioso e incapace di amare: tale operazione è molto delicata e talvolta troppo difficile da portare a termine senza ricorrere alle Forze dell'Ordine, agli psicologi esperti e comunque, in ogni caso, è fortemente consigliato un allontanamento ambientale e quindi una "perenne" e vigile cautela, onde ridurre la possibilità di incontri. Il marito che progetta l'uccisione della compagna vuole cancellare le proprie continue brutte figure. La sua dignità è logorata, perché egli è chiaramente inadeguato a fronteggiare una vita da uomo come la pretende l'immaginario collettivo. Gli assassini femminicidi hanno il chiodo fisso nella mente di essere forti, rispettati, potenti ed in grado di schiacciare chiunque li guarda e li giudica per i loro comportamenti indegni. Vogliono che le compagne accettino le loro offese, le percosse fisiche, le sottrazioni di danaro, le restrizioni di movimento, la chiusura ai rapporti familiari e sociali e siano pronte a dire "sì" senza discutere.

Naturalmente le donne soffrono fino ad arrivare ad un punto di stress psicologico tale che, senza nemmeno accorgersene, si chiudono in se stesse e si allontanano quasi trascinate virtualmente da una frana che spacca catastroficamente il nido della convivenza, costruito con tante speranze. Esse cercano di farsene una ragione, affrontando anche devastanti sensi di colpa, ma i mariti che non vogliono riconoscere la propria incapacità di essere uomini normali imboccano la strada orrenda della criminalità, cercando di rincorrere la "preda" sfuggita al proprio controllo e premeditando di "tombare", con l'uccisione, quell'essere che ha tentato di vivere normalmente. Questa analisi comportamentale criminologica descrive un fenomeno delittuoso che trova le radici "nell'indegnità personale" di detti criminali, lontani dalle buone regole del vivere civile, "disvelata" consciamente od inconsciamente dalle proprie vittime.

Questa è la genesi più probabile del femminicidio, che non può essere collegato al disagio economico o sociale, anche se in talune circostanze, dopo le tragedie, con la pietas umana, vi si faccia cenno, tanto per chiudere a buon mercato un discorso più complesso, che andrebbe fatto a monte, sul modo di essere o di vivere di alcuni uomini prima di avvicinarsi alla convivenza o al matrimonio, in tutte le forme nuove o tradizionali.


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