In testa gli Specialisti del recupero crediti e le banche salvatrici. Conseguenze drammatiche per azionisti e obbligazionisti

di Lucia Izzo - Chi ci ha rimesso a seguito del c.d. decreto salva-banche è ormai di chiara evidenza: si tratta degli azionisti e dei titolari delle obbligazioni subordinate che hanno visto completamente bruciati i propri investimenti a seguito del "salvataggio" dei quattro istituti in dissesto (Banca Etruria, Banca Marche, Carife, CariChieti) (leggi: "Domani il decreto salva-banche: in arrivo un nuovo aiuto di Stato?" e "I primi salvataggi bancari"). 


Si è molto parlato delle conseguenze della manovra, delle somme necessarie erogate dallo Stato per evitare il crac degli istituti (vedi anche: "Bruciati 1,2 miliardi di euro per salvare quattro banche. A spese dei piccoli azionisti") e delle difficoltà, anche a livello europeo, per venire incontro ai risparmiatori in difficoltà, privati di ogni sostegno (leggi: Salva-banche: niente soldi dallo Stato a chi li ha persi. L'Europa dice di no"). 


Tuttavia, se da un lato ci sono i vinti, dall'altro ci sarà necessariamente un "vincitore" o, per meglio dire, qualcuno che da questa vicenda "ci guadagna". 


Le società di recupero crediti


Come riporta linkiesta.it questi soggetti ci sono, ed è facile ipotizzare che si tratterà in primo luogo degli specialisti del recupero dei crediti deteriorati (cosiddetti Npl, "non performing loans"): le banche dovranno fare riferimento a questi operatori affidandogli le procedure di gestione e rimborso dei prestiti insoluti che residuano, nonché per la vendita dei beni sottoposti ad ipoteca.


Si tratta dei cd. crediti in sofferenza, la cui riscossione è incerta trovandosi i debitori in stato d'insolvenza o situazioni equiparabili: le sofferenze delle quattro banche, il cui valore originario era di 8,5 miliardi, a seguito del "salvataggio" si assesta attualmente su un valore pari a 1,5 miliardi.


I "signori" del recupero crediti operano in base a tassi di interesse elevati (10-15%) e per realizzare dei ricavi è importante che la rivendita degli immobili impegni meno tempo possibile.

Proprio sul fattore "tempo" è intervenuta la legge 132 del 6 agosto 2015, che ha convertito il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, velocizzando il processo e le procedure esecutive su beni mobili e immobili e fissando un termine di due anni per la conclusione delle operazioni di liquidazione dell'attivo dei fallimenti.


In sostanza, le operazioni di recupero crediti ne risulteranno facilitate per quanto riguarda il pignoramento degli immobili, capannoni ma anche abitazioni.

L'ufficio studi del Cerved ha stimato che il taglio dei tempi potrebbe arrivare a elevare percentualmente i redimenti degli operatori che si troverebbero ad acquistare ad un "prezzo da saldo" gli asset finiti nella "bad bank" delle quattro banche popolari, valutati 17,6 euro.

Questa valutazione sarebbe equa se gli operatori realizzassero i propri guadagni medi in circa sette anni, ma se gli Npl fossero estinti in meno tempo, come presupposto dalla legge (che ha stimato un decremento del 50% dei tempi dei fallimenti e  del 20% dei tempi per le aste immobiliari), gli specialisti ne trarrebbero notevoli introiti.

Il Cerved, tuttavia, precisa che "Quella dei 17,6% ci sembra una valutazione molto prudente, che non tiene conto delle modifiche normative".


Il Fondo di Risoluzione


Un ipotetico "ritorno", se si considera un prezzo così basso, sarebbe ipotizzabile anche per le banche "sane" che hanno versato nel Fondo di Risoluzione le somme necessarie per consentire agli istituti di continuare a operare.

La Banca d'Italia ha stimato che il Fondo ha avuto bisogno di 300 milioni cash per sottoscrivere il capitale delle 4 nuove banche, nonché di altri 140 milioni per dotare la "bad bank" (priva di licenza bancaria e in cui confluiscono i crediti in sofferenza) di un capitale minimo necessario per operare.


Se la "banca cattiva" guidata da Roberto Nicastro, ex direttore generale di Unicredit, riuscirà a vendere le sofferenze per una somma superiore a 1,5 miliardi (che saranno distribuiti tra le nuova quattro banche), il surplus confluirà direttamente nel Fondo di Risoluzione delle banche salvatrici.


Nessun costo per lo Stato, che rimane estraneo al processo, mentre tutte e conseguenze del "salvataggio" andranno a gravare sui vecchi azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, e, in generale, dal complesso del sistema bancario italiano.


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