di Licia AlbertazziCorte di Cassazione civile, sezione seconda, sentenza n. 13043 del 10 Giugno 2014. 

L'azione di indebito arricchimento, prevista dall'art. 2033 codice civile, è esperibile laddove risulti che un pagamento non doveva essere eseguito.  In tal caso, chi ha eseguito un pagamento, ha diritto ad ottenere la restituzione di quanto pagato.

Nel caso preso in esame dei giudici di piazza Cavour un datore di lavoro aveva citato in giudizio una professionista a cui si era rivolto per la tenuta della contabilità e per l'espletamento di alcune operazioni economiche.

Scoperto che in realtà la professionista era priva di idoneo titolo abilitativo,  il cliente aveva deciso di chiedere la restituzione delle somme pagate per il suo onorario. 

In primo grado tribunale, accertato che la contabile avrebbe svolto attività di tributarista priva di idoneo titolo professionale, accoglieva la domanda proposta ai sensi dell'articolo 2033 codice civile , condannando la donna alla restituzione delle somme percepite, oltre gli interessi.

In appello il giudice riformava parzialmente la decisione, riducendo  gli importi richiesti restituzione e specificando che sarebbe stato necessario distinguere nello specifico tra quelle attività sono qualificabili come professionali (per le quali la retribuzione non dalla dovuta) da quelle tipo generico.

Il caso finiva dunque in Cassazione dove  gli Ermellini  hanno  respinto il ricorso rilevando che, in mancanza di una prova che consenta di individuare con esattezza le attività che richiedono l'iscrizione in un apposito albo professionale, il giudice di appello ha eseguito un calcolo approssimativo e probabilistico non essendo possibile presumere tutto il lavoro svolto dalla donne fosse contrario alla legge. La sentenza impugnata ha affermato in particolare che stante la prevalenza dello svolgimento di attività non protetta ed essendo stati pagati i compensi in maniera forfettaria, appariva equo limitare le somme da restituire al 20% di quelle riconosciute dal tribunale.

Tale liquidazione, fatta in via equitativa, è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e come tale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità.


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