di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 22965 del 9 ottobre 2013. Non è tenuto a risarcire l'azienda il dirigente che sbaglia strategia perdendo i benefici fiscali e acquistando macchinari difettosi. Infatti, il manager non può accollarsi il rischio d'impresa. In altri termini, niente ristoro se dimostra di aver agito con la normale diligenza. Inoltre, c'è la possibilità di prorogare il contratto a termine. E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con la sentenza 9 ottobre 2013, n. 22965.

Nella specie, è stato respinto il ricorso principale di un manager che contestava il contratto a termine stipulato per ben due volte con l'azienda e quello incidentale dell'impresa con il quale venivano richiesti i danni per la scelta di alcune strategie. E' in ius receptum il carattere eminentemente fiduciario del vincolo obbligatorio che lega il dirigente al datore di lavoro, sì da farne il collaboratore più diretto nella gestione aziendale, carattere che ne condiziona naturalmente la disciplina giuridica, notevolmente differenziandola da quella comune. La disciplina restrittiva dei rapporti di lavoro a termine sottrae quella dei dirigenti alla proclamata regola comune del contratto

a tempo indeterminato e al principio di tassatività delle eccezioni, consentendo in via altrettanto generale, anche se circoscritta alla categoria, la stipulazione dei contratti a termine. La disciplina di riferimento è il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che ha riformato la disciplina del contratto
a termine, abrogando espressamente la legge 18 aprile 1962, n. 30, che a sua volta aveva abrogato l'articolo 2097, codice civile. La disposizione dell'articolo 2, legge 230/1962 che consente solo in casi eccezionali ed entro dati limiti la proroga dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, non trova applicazione per i contratti a termine stipulati con dirigenti tecnici o amministrativi.


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