La parte non è responsabile per gli scritti difensivi che recano offesa al giudice. Lo ha stabilito la terza sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza n. 21696, depositata il 20 ottobre 2011) resa all'esito di un ricorso proposto da un giudice onorario che aveva citato in giudizio un avvocato, sostenendo di essere stato diffamato, nell'esercizio delle sue funzioni di magistrato, a causa delle affermazioni contenute in una memoria di replica. Il giudice aveva reputato la condotta dell'avvocato di particolare gravità e le frasi riportate false ed offensive in quanto dirette a mettere in dubbio le caratteristiche di terzietà proprie del giudicante. In questo modo secondo il magistrato si sarebbe integrata l'ipotesi del reato di diffamazione
, aggravato dall'attribuzione di un fatto determinato. Il giudice onorario chiedeva quindi di essere risarcito del danno mentre l'avvocato nel costituirsi in giudizio aveva spioegato che quel giudice aveva adottato un "provvedimento di favore per i colleghi", un "trattamento privilegiato" che "non trova riscontro in un precedente… dello stesso magistrato" e che pertanto le frasi contenute negli scritti difensivi altro non erano se non espressioni del suo diritto di critica. Quando il caso è finito in Cassazione l'avvocato ha sostenuto tra le altre cose che ai sensi dell'art. 83 c.p.c., gli atti compiuti dal difensore sono direttamente riferibili alla parte anche quando le offese provengano dal difensore e che per questo destinataria della domanda di risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. doveva essere solo la parte. Nella sua difesa l'avvocato sosteneva anche che detti criteri sarebbero operativi anche quando il soggetto non è una parte, ma un terzo (nella specie il magistrato). La terza sezione civile nel decidere il ricorso ha chiarito che "l'art. 89 c.p.c., nella parte in cui prevede il risarcimento del danno, è applicabile quando l'offensore e l'offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio, mentre nella fattispecie de qua l'offeso è un terzo, ossia il magistrato che ha deciso la controversia. Né quest'ultimo potrebbe condannare una parte al risarcimento in favore di se stesso, potendolo solo promuovere un diverso procedimento civile (o penale) nei confronti dell'autore dell'illecito". La corte fa anche notare che nella fattispecie le frasi incriminate "non potevano essere riferite alla parte in quanto implicano considerazioni relative all'attività del giudice di cui la parte stessa, personalmente, non poteva avere conoscenza".
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