Caro ZIBALDONE, «un gelato al limon, gelato al limon, gelato al limon, sprofondati in fondo a una città», cantava l'Artista anni fa. E «mentre un'altra estate se ne va» (Paolo CONTE, avvocato civilista astigiano e pure qualcos'altro di immensamente grande) in questo incombente settembre 2011 per darsi un po' di coraggio, per ricominciare la routine fatta di atti giudiziari in scadenza, persone nevrili da ricevere, udienze imminenti da fronteggiare, l'unico sistema consiste nel far partir bene la giornata. Quale miglior metodo di una stupenda colazione al bar. Debbo a mia mamma Rosy questa abitudine sontuosa: insegnante alle medie, ottimizzava i tempi per avviarmi a scuola conciliando i suoi orari con i miei. Già l'uomo primitivo "quando la mattina si alzava, nella sua caverna, …avvertiva subito un forte desiderio di caffè. Ma il caffè non era ancora stato inventato" chiosa Stefano BENNI nel fenomenale "Bar Sport", Economica Feltrinelli, Milano, 2009, 27^ edizione, costo sette euro di umorismo puro. Maeve HARAN è una romanziera che trascorre la sua esistenza tra la casa di Londra ed un cottage nel Sussex: il suo hobby è destreggiarsi fra lavoro, impegni di madre ed aspirazione a vivere al meglio. Ha scritto il pregevole "La Schiuma sul cappuccino" per le Edizioni PIEMME, Milano, €14,50, 1^ edizione 2010, pure ben tradotto da Cristina PRADELLA. Il sito ufficiale ricorda che Maeve Haran "is an Oxford Law graduate", insomma ch'è laureata in legge. Non saprei ricostruire come il libretto di 219 pagine mi sia rocambolescamente finito in mano tra le cataste che sormontano i comodini di mia moglie e mio: lettura gradevole e rilassante, intelligente ed anche sexy nella sua leggerezza.
Ma è il titolo che non mi trova per niente d'accordo: ma come la SCHIUMA sul cappuccino?! Per di più, specifica l'Autrice a pag. 217, "da asporto" e da "spruzzare" di "cacao sopra" e "poi mangiare la schiuma". Carissima Maeve, in primo luogo, warning! Mai parlare di schiuma bensì di CREMA di latte sul cappuccio! Quando l'erogatore del vapore della macchina del caffè viene mandato dal barista a mille, come un uragano Katrina (Irene è stato un mezzo flop) tanto da provocare un sinistro borbottio presago di bollicine e crateri, addio! Cambiate bar prima che sia troppo tardi. E poi, suvvia, il cacao si mette su un cappuccio che fa schifo. Il cacao è come il pomodoro, dove lo metti sta: è coprente. Prendi una suola da scarpe, poni sopra il pomodoro e puoi anche mangiarla.
Il cappuccino delizioso va gustato religiosamente SENZA CACAO se non ci siamo prima bevuti il cervello per colazione. Mi rendo conto che sto trattando argomenti assai delicati che toccano in modo significativo la vita di tutti Voi lettori di Studio Cataldi. Impronterò, quindi, il mio registro alla massima sobrietà per non correre il rischio di urtare la suscettibilità di chi non la pensa alla stessa maniera su un tema si' importante per i futuri equilibri planetari. Fare una pessima colazione indispone e si rischiano nuovi conflitti. Maeve HARAN termina il passo dedicato al cappuccino con un omaggio a "quell'ultimo centimetro di schiuma che occhieggia dal fondo della tazza di CARTA" … Nooooooooo, ma quale tazza di carta! Per cortesia, torniamo al mitico Bar Sport di Stefano BENNI e diamo alla LUISONA quel che spetta alla pasta più fantastica della storia di tutti i bar del mondo. "Al bar Sport non si mangia quasi mai. C'è una bacheca con delle paste, ma è puramente coreografica.
Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d'artigianato. Sono lì da anni, tanto che i clienti abituali, ormai, le conoscono UNA PER UNA". Il bar dello Sport della mia età verde era un luogo magico; quando si entrava, ci si andava ben preparati a sfottò per la sconfitta dell'Inter nonostante un Bobobonimba superlativo che s'era battuto alla stragrande con Francesco Morini, lo stopper biondo che faceva apparire l'eroe omerico Roberto BONINSEGNA tripede mentre spuntava lo scarpino dell'abile difensore tra le gambe tozze del mio idolo mantovano; il truce Romeo Benetti non terminava mai una partita senza prima scambiarsi le tibie o le rotule con un avversario; il Romeo era uno degli argomenti di discussione più gettonati; lo scemo del bar (non esiste un bar senza lo scemo del bar) lo detestava ed inveiva sempre contro il biondo mediano di Milan e Juve, ma poi in Nazionale la grinta di Benetti ci faceva un gran comodo; dentro al bar dello Sport pulsava la vita e si faceva la pesca al boero putrefatto (o con avanzati processi di cristallizzazione), confidando di vincere un rinoceronte di pelouche a grandezza naturale; e sopratutto si puntava al record del flipper da annotare sul medesimo ordigno, con tanto di nomi dei testimoni presenti, spesso falsi: gentaglia cialtrona che si prestava a ratificare qualunque bufala; con il flipper si flirtava e si godeva quando lo schiocco improvviso annunciava che avevi vinto un'altra partita; eppoi ti creavi una bella cerchia di amici perché, quando scadeva il tempo libero che avevi a disposizione, regalavi tutte le partite che avevi di credito; la pallina del flipper si accompagnava con movenze ondeggianti sul tronco, similsessuali; eppoi c'era un tipo autorevole che entrava ed a gran voce esclamava "sapete che cavolo m'è capitato?!" e si sospendeva ogni attività: tutti giù seduti ad ascoltare. Il bar contiene ogni tipologia umana; se hai bisogno di un pittore, di un muratore, di un meccanico, di una marmitta, ciascuno è già pronto a darti una mano; il bar ha una risacca d'umanità da far invidia ad un quartiere malfamato; vi si trova un pallonzolare di stomaci e trippe fuori controllo, un tintinnare di palle di biliardo e biliardini con gli omarini blù e quelli rossi e le pallette che se non stai accorto ti sbucciano il cervello. Le carte da gioco erano per lo più piacentine e la tradizione del bar esigeva che si sbattessero sul tavolo con rara violenza; la bestemmia era permessa e scriminata. I debiti di gioco si pagavano in bevute. Il cesso era spesso osceno ed impraticabile per le signore, collocato sovente al di fuori del locale per la gioia dei freddolosi. I maschietti nel far pipì rischiavano la stalattite bionda. Le femminucce erano ammesse solo se contorsioniste onde evitare il contagio certo della peste bubbonica che albergava da tempo immemorabile in bagno. Si rientrava nel locale riscaldato novelli Roald Engelbregt Gravning Amundsen previa impercettibile perdita di qualche rinunciabile falangetta delle dita. La carta igienica era un optional inesigibile per quei tempi ed il sapone non s'era mai visto se si eccettua una vecchia saponetta frantumata e poi ricompattata con perizia, rigata longitudinalmente di nero sporcizia, cui faceva pendant un asciugamano semi-lacerato con sopra la dicitura di un alberghetto, di certo ex postribolo ante Legge Merlin. Stefano BENNI descriveva le paste in quel passo ch'è ormai autentica antologia: "Gli avventori abituali entrano nel bar Sport e dicono: "La meringa è un po' sciupata, oggi. Sarà il caldo". "E' ora di dar la polvere al krapfen". Ma accade l'imprevisto ed "il cliente occasionale osa avvicinarsi al sacrario" che da decenni custodisce intatte e sigillate le reliquie delle paste. "Una volta, ad esempio, entrò un rappresentante di Milano. Aprì la bacheca e si mise in bocca una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva. Subito nel bar si sparse la voce: Hanno mangiato la LUISONA!". Ebbene, il timor panico si diffonde immediatamente nel bar, che, si noti, allora nessuno si sognava di chiamare con nomi compositi di origine straniera che oggi fanno tanto figo e tanta pena. Il primo che mi parla di quella stronzata dell'happy hour lo folgoro. Orsù, la Luisona era la vera DECANA della collezione storica di paste. Anche senza ascoltare il Colonnello televisivo (poi generale) Edmondo BERNACCA, "guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo. La sua scomparsa fu un colpo durissimo per tutti. Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale DISPREZZO. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto MALVAGIO conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni." E qui Benni richiama una sorta di vendetta postuma di Montezuma, come in Messico definiscono gli stranieri alle prese con ventri crepitanti e colorito terreo, che corrono disperati …invadendo la prima ritirata a disposizione e scontando l'invasione europea sulle affascinanti civiltà pre-colombiane. "Infatti fu trovato appena un'ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata. La particolarità di queste paste è infatti la non facile digeribilità. Quando la pasta viene ingerita, per prima cosa la granella buca l'esofago. Poi, quando la pasta arriva al fegato, questo la analizza e RINUNCIA, spostandosi di un colpo a sinistra e lasciandola passare. La pasta, ancora intera, percorre l'intestino e cade a terra INTATTA dopo pochi secondi". Chiosa Stefano BENNI che "se il barista non ha visto niente, potete anche rimetterla nella bacheca e andarvene". Giuro che mi capitò una volta di addentare una brioche belloccia ma assai risalente nel tempo che faceva bella mostra di sé sul bancone metallico di un baretto di periferia. Sarà stata minimo di una settimana ma non aveva ancora messo né radici, né germogli. Il barista era nel retrobottega. Con gesto fulmineo la butto nel cestino e chi s'è visto s'è visto. Sulla mia copia di "Bar Sport" campeggia in copertina lei, la mitica LUISONA, disegnata da Giovanni MULAZZANI accanto ad una ciambella fritta mentre due avventori chiacchierano animatamente di calcio, uno fuma e l'altro brandisce un bicchiere di vino rosso, sormontati da una mano allungata dal barista che serve due birre bionde e due aperitivi. Formidabili quegli anni scolpiti dalla penna di Stefano BENNI proprio com'erano. A proposito, a giorni verrà presentata l'ultima fatica del grande Autore surreale in occasione del Festival di Mantova (al Cortile della Cavallerizza h.14:15 dell'11 set '11): "La traccia dell'angelo", edita da Sellerio.
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