Cos'è e come è punito il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all'articolo 10-bis del d.lgs. n. 74/2000
di Giovanni Tringali


L'omesso versamento di ritenute certificate

L'omesso versamento di ritenute dovute o certificate è il comportamento tenuto da quei soggetti che sono per legge tenuti a riscuotere l'imposta sul reddito, operare una ritenuta alla fonte e versare all'erario le somme trattenute, ma non vi provvedono.

E', in sostanza, il comportamento omissivo del sostituto di imposta che non provvede a eseguire l'incarico affidatogli dall'ordinamento entro il termine stabilito dalla norma penale.

La norma

Il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate è previsto e sanzionato dall'articolo 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, che così dispone:

"E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta".

Presupposti del reato di omesso versamento

Affinché l'omesso versamento di ritenute da parte del sostituto assuma rilevanza penale ai sensi dell'art. 10-bis del decreto legislativo numero 74/2000, quindi, sono necessari diversi presupposti. In particolare:

  • le ritenute non versate devono essere state certificate ai sostituti,
  • l'ammontare delle ritenute certificate e non versate deve superare, per ciascun periodo di imposta, i 150mila euro,
  • l'omissione deve essersi protratta oltre i termini previsti per i versamenti periodici, in particolare entro il termine fissato per la dichiarazione annuale,
  • vi deve essere dolo, anche solo eventuale, nell'integrazione di tutti gli elementi costitutivi del reato.

In presenza di tali elementi ci troviamo di fronte a un reato che si caratterizza per essere un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta. La procedibilità è d'ufficio.

Elemento soggettivo del reato

Con particolare riferimento a tale ultimo aspetto, la circostanza che l'elemento soggettivo richiesto coincida con il dolo significa, in sostanza, che il mancato versamento delle ritenute riconducibile a una dimenticanza o a mera negligenza non assume alcun rilievo penale.

Ai fini della configurazione del reato è, dunque, necessario che l'autore:

a. Sia consapevole di aver rilasciato la certificazione e, volutamente

b. Ometta il versamento delle somme trattenute per un ammontare superiore alla soglia prescritta dal legislatore entro il temine previsto dalla legge.

La giurisprudenza sull'omesso versamento di ritenute certificate

Si riporta qui di seguito quanto statuito dalla giurisprudenza in materia di reato di omesso versamento di ritenute certificate in alcune recenti sentenze.

"La nuova fattispecie di reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, come modificata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 7, comma 1, lett. b, che ha elevato a 150.000,00 l'importo delle ritenute certificate non versate, ha determinato l'abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo" (Cass. n. 34362/2017)

"Fino alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno precedente, il comportamento omissivo del contribuente non è penalmente rilevante, e la condotta criminosa si realizza e consuma solo nell'istante in cui, alla detta scadenza, si registri un'omissione del versamento che (indipendentemente dalle modalità del suo formarsi) superi la soglia minima prevista, ciò perchè la condotta penalmente rilevante non è l'omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell'anno precedente. La prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonchè i versamenti relativi" (Cass. n. 46459/2017).

"In tema di omesso versamento di ritenute certificate, se per i fatti antecedenti alla modifica apportata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 7, al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, è richiesta per un giudizio di colpevolezza la prova del rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, non essendo sufficiente la dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), la sussistenza del "fumus commissi delicti", ai fini dell'applicazione del sequestro preventivo per equivalente, può, tuttavia, essere desunta anche dalla indicata dichiarazione o da altri elementi, purchè se ne fornisca motivazione adeguata" (Cass. n. 46390/2017).

L'impossibilità di versare le ritenute per causa di forza maggiore

Va infine segnalato che, ai sensi dell'articolo 45 del codice penale, in generale non è penalmente punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore (oltre che per caso fortuito).

La forza maggiore viene tradizionalmente definita come qualsiasi energia esterna con la quale il soggetto non è in grado di resistere e che perciò lo costringe necessariamente ad agire. Non si può parlare di forza maggiore se l'agente dispone di un sufficiente margine di scelta.

Con riferimento all'omesso versamento delle ritenute certificate, non può escludersi, in assoluto, che l'omissione possa derivare in toto da una causa di forza maggiore, la quale, ragionevolmente, può anche configurarsi in un'imprevista e imprevedibile indisponibilità del necessario denaro non correlata in alcun modo alla condotta dell'imprenditore. Potrebbe ad esempio essere rilevante ad escludere la colpevolezza la circostanza che, al momento della scadenza del termine lungo per il versamento, sia intervenuta una crisi di liquidità non imputabile al sostituto d'imposta.

Con la sentenza n. 52038 del 15 dicembre 2014, tuttavia, la Corte, affrontando un caso del genere, ha negato a un imprenditore sia la concessione dell'esimente dello stato di necessità sia la sussistenza dell'ipotesi di forza maggiore.

I motivi d'illiquidità fatti valere erano:

a) l'avere ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti per evitare licenziamenti;

b) l'avere dovuto pagare i debiti ai fornitori, a pena di fallimento della società;

c) la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato.

Invece, secondo la Corte, non può "essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta ... di non far debitamente fronte alla esigenza predetta".

In conclusione, in astratto si potrà invocare l'impossibilità di adempiere l'obbligo fiscale, ma rischia di essere, in concreto, un caso di probatio diabolica.


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