Ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale
Con la sentenza n. 48036/2014, la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ribadito che per l'integrazione del reato di abuso di ufficio ex articolo 323 codice penale è necessario che sussista il requisito della cosiddetta "doppia ingiustizia" nel senso che "ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia".


Nel caso di specie, l'accusa mossa agli imputati era quella di avere assunto, con rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione a progetto, una serie di soggetti (in molti casi legati da rapporti di parentela o di amicizia con esponenti politici locali) senza previo esperimento di procedure concorsuali o di selezione


Secondo il giudice di ultima istanza, il reato di abuso di ufficio non si è perfezionato proprio perché non è dato ravvisare nell'accaduto la "doppia ingiustizia". 

La violazione di legge a cui fa riferimento l'art. 323 c.p., chiarisce la Corte, riguarda sia la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, sia le condotte che siano dirette alla realizzazione di un interesse in conflitto con quello per quale il potere è conferito.

Ma proprio in relazione a tale secondo aspetto è necessario dimostrare il dolo intenzionale la cui prova esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell'agente sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale: tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento "non iure" osservato dall'agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva "ratio" ispiratrice del comportamento.


Nella specie, conclude la Corte, "la valorizzazione come fine pubblico perseguito dagli agenti della necessità di ricollocare i dipendenti delle società estinte e l'assenza di altri elementi sintomatici ha fatto ritenere che i ricorrenti non avessero perseguito favoritismi personali, escludendo il dolo intenzionale richiesto dalla fattispecie contestata". 


Per altri dettagli si rimanda al testo della sentenza qui sotto allegato.


Riferimenti normativi:
Art. 323 codice penale. Abuso di ufficio.

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.


Approfondimenti nella sezione delle guide legali:
» L'abuso d'ufficio"

Cassazione Penale, sentenza 20 novembre 2014, n. 48036

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