La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23330 del 18 dicembre 2012, ha accolto il ricorso di un medico radiologo licenziato dalla Asl presso cui prestava servizio per inidoneità al lavoro perché affetto da una sintomatologia ansiosa che, secondo le prescrizioni mediche, rendeva necessario che lo stesso fosse esentato dai turni di reperibilità e fosse affiancato, nella redazione dei referti, da un collega.

La Suprema Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che "la sopravvenuta infermità permanente del lavoratore integra un giustificato motivo di recesso del datore di lavoro solo allorché debba escludersi anche la possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività lavorativa riconducibile - alla stregua di un'interpretazione del contratto secondo buona fede - alle mansioni già assegnategli, o altre equivalenti e, subordinatamente a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore" e che "pur non essendo sindacabile l'esercizio dell'attività economica privata, garantito dall'art. 41 Cost, nei suoi aspetti tecnici dal giudice, tale attività deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro e alla salute.

Ne consegue che non viola la norma citata il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, ove il datore di lavoro non abbia accertato se il lavoratore potesse essere adibito a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell'organigramma aziendale".

Nel caso di specie la Corte territoriale ha affermato che non solo non risultava dalle certificazioni mediche che la sopravvenuta, parziale inidoneità fisica del ricorrente avesse carattere permanente e, quindi, fosse definitivamente escluso un recupero della sua piena idoneità fisica, ma l'Azienda, aveva omesso di provare, tenuto conto delle contestazioni effettuate sul punto dal ricorrente, che, pur con la ridotta capacità lavorativa, il dipendente non potesse svolgere mansioni compatibili con l'organizzazione aziendale.

Dalla documentazione medica prodotta, inoltre, non risultava un quadro clinico definito, bensì la mera esistenza di un disturbo d'ansia per il quale il medico competente non aveva attestato la totale inidoneità del ricorrente allo svolgimento delle mansioni cui era adibito, A fronte di tali affermazioni, l'Azienda ha rimarcato la mancanza assoluta di utilità di una prestazione di un radiologo che non possa esercitare da solo la propria attività di refertazione e non possa svolgere turni di reperibilità, senza però prendere posizione sulla possibilità di un utilizzo alternativo.
"L'impossibilità di adibire il dipendente ad una diversa attività lavorativa riconducibile alle mansioni già assegnategli o a mansioni equivalenti, avrebbe dovuto costituire oggetto di prova da parte dell'Azienda, la quale avrebbe altresì dovuto dimostrare che una diversa collocazione del ricorrente comportasse una alterazione dell'organigramma aziendale o dell'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dal datore di lavoro."

Con tali motivazioni i giudici di legittimità hanno quindi confermato l'illegittimità del licenziamento del radiologo nonché la sua reintegra e hanno altresì disposto anche un nuovo esame della vicenda rinviando alla Corte d'appello ai fini della determinazione del risarcimento del danno ex art. 18 St. lav. conseguente alla illegittimità del licenziamento precisando che l'illegittimità del recesso comporta anche per i dirigenti pubblici gli effetti reintegratori stabiliti dall'art. 18 St. lav. a prescindere dal numero dei dipendenti.
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