Dopo averci meditato sopra più di una decina di giorni, ritengo di pubblicare in questo POSTA & RISPOSTA n. 361 la lettera, con me troppo generosa, di Paolo Emilio Battaglia anche a mo' di mia giustificazione per avere trascurato questa rubrichetta di servizio per causa di una grave patologia familiare che ho dovuto affrontare insieme ad i miei cari per tutta l'estate. In autunno siamo risultati perdenti, ma intanto abbiamo combattuto per la nostra cara. "Caro Paolo (puoi perdonarmi questa confidenza, non lo farò più, forse impropria, forse eccessiva, ma che viene da un profondo senso di empatia?), da qualche mese mi stavo chiedendo se e che cosa ti fosse successo, non leggendo più (o quasi più) i tuoi splendidi "posta e risposta" (anche se a volte tu riesci a scriverli, io non riesco nemmeno a leggerli tutti!). Conoscendo, sia pure solo per via "di penna", con quale spirito hai "messo su" questo rapporto con chi ti legge e qualche volta dice la sua, immaginavo che il motivo del tuo lungo quasi-silenzio dovesse davvero assorbire completamente il tuo spazio-tempo emotivo-fisico-mentale, che poi avrai pur dovuto conciliare con la professione forense, suppongo. Speravo solo che questo motivo non presentasse tinte così drammatiche. Speranza vana, purtroppo. Ora, che dire, non credo che ci siano da dire parole, c'è da dare ascolto al cuore, forse, non so, soffermarsi su qualche fotografia, lasciare che la fiamma della memoria e la gioia di quel che è stato brucino il dolore, e ... tornare a vivere (facile dirlo, lo ammetto). Per parte mia, ti prego di accettare, se mi è consentito, quel senso di empatia che mi ha spinto a scriverti in modo così confidenziale. Vorrei chiudere questo saluto a te e alla tua Lia come così spesso chiudi i tuoi ricordi di persone partite per sempre verso "altri" lidi: "che la terra le sia lieve!"
Ciao e a presto.
Paolo Emilio Battaglia
P.S. Io indico di pubblicare, ma davvero, vedi tu: non ti sentire in obbligo né di pubblicare, né di rispondermi, fa' quel che senti, a me basta che tu mi legga non troppo severamente, se ho ecceduto". - Sono senza parole. Viviamo in una società in cui pare vincere chi urla più forte; allora, qualche anno fa, pensai che l'antidoto migliore fosse mettermi all'ascolto, ch'è liberatorio in una compenetrazione di anime inconsueta nella vita quotidiana.
Ho cercato sempre di dare la parola a chi aveva cose da dire, ponendomi di lato ad ascoltare. Il filosofo presocratico Zenone di Elea, per Aristotele inventore della dialettica, sosteneva che ci hanno dato due orecchie ma una sola bocca perché potessimo ascoltare di più e parlare meno. Ho imparato moltissimo dall'ascolto: è il presupposto per una corretta comprensione dell'altro; comprenderlo non equivale, però, a coincidere con lui. E tante volte rispondo che dissento categoricamente dall'opinione di chi scrive alla mia rubrica. La Tua lettera, caro Paolo Emilio, mi dà la dimostrazione che qualcosa è passato da queste colonne virtuali. Perciò ho deciso di pubblicarla.
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