Per la Cassazione è integrata la fattispecie di interruzione di pubblico servizio indipendentemente dalla brevità dell'assenza

di Marina Crisafi - È reato l'assenza del medico dall'ambulatorio "turistico" anche se per poco tempo. Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 52007/2016 (qui sotto allegata), confermando la condanna inflitta in appello ad un sanitario per il reato di interruzione di pubblico servizio per essersi assentato durante il turno dall'ambulatorio di piccole dimensioni destinato all'assistenza medica turistica.

A nulla è valso per il professionista "minimizzare", sostenendo che la sua assenza fosse stata solo momentanea e tale da non intaccare l'operatività del servizio considerato che il caso riguardava una struttura sanitaria di piccole dimensioni, non destinata ai residenti e con orari di presenza di appena due ore. Per il Palazzaccio, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 340 c.p. è integrato "da qualsiasi comportamento che provochi l'interruzione o turbi il regolare svolgimento di un servizio pubblico; né rileva che l'interruzione sia definitiva o il turbamento totale, essendo sufficiente, a tal fine, anche un'interruzione momentanea, purché di durata non irrilevante, o un turbamento relativo, purché non insignificante".

E nel caso di specie, l'assenza del medico, resosi irrintracciabile durante l'orario di lavoro in almeno due occasioni, provocando la protesta dell'utenza e costringendo gli infermieri a rinviare i pazienti al pronto soccorso vicino, è senz'altro da considerarsi interruzione del pubblico servizio, nell'accezione anche di effettivo turbamento.

Ugualmente a dirsi, per la Cassazione quanto all'elemento soggettivo del reato, per il quale è sufficiente "che il soggetto attivo sia consapevole che il proprio comportamento possa determinare l'interruzione o il turbamento dei pubblico ufficio o servizio, accettando ed assumendone il relativo rischio".

Da qui l'inammissibilità del ricorso e la condanna anche al pagamento delle spese processuali.

Cassazione, sentenza n. 52007/2016

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