La Suprema Corte ammette l'attenuante della minore gravità nei confronti delle violenze sessuali poste in essere da un professore ai danni di più studentesse minorenni

di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 25434/2016 depositata il 20 giugno e qui sotto allegata, la Cassazione si è pronunciata in un modo che darà probabilmente da discutere circa l'attenuante della minore gravità, ammettendola anche in ipotesi di violenza sessuale posta in essere da un professore ai danni di più studentesse minorenni.

Annullando con rinvio la sentenza del giudice del merito, la Corte a sostegno della sua decisione ha affermato che nel caso di specie non erano stati congruamente evocati i tra parametri di valutazione del diniego, rappresentati dalla reiterazione delle condotte criminose, dal contesto scolastico in cui le stesse si erano espletate e dalla giovane età delle persone offese.

A detta della Cassazione, infatti, la minore gravità può essere riconosciuta all'esito di una valutazione dei fatti generali e che tenga conto sia del grado di coartazione che è stato esercitato dalle vittime della violenza, sia delle condizioni fisiche e mentali, sia dell'entità della compressione della libertà sessuale, sia, infine, del danno anche psichico arrecato al soggetto passivo.

Con particolare riferimento alla reiterazione delle condotte, per la Corte l'aggravamento dell'intensità della lesione del bene protetto si ha solo quando il fatto è replicato nei confronti di un medesimo soggetto. Se invece i soggetti passivi della condotta sono più di uno non vi sarebbe motivo per non considerare i singoli fatti in maniera atomistica e la lesività della condotta non progressiva.

Degna di nota è poi l'affermazione dei giudici secondo la quale non sarebbe possibile escludere a priori la minore gravità nel caso in cui il locus commissi delicti sia rappresentato da una scuola, un luogo, cioè, in cui ogni studente dovrebbe sentirsi protetto: a parere della Corte una simile negazione risulta "fallace proprio nel suo affermato automatismo".

La parola torna alla Corte d'appello.

Corte di cassazione testo sentenza numero 25434/2016
Valeria Zeppilli

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