Per la Cassazione, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi al test assume elevato valore indiziario ex art. 116 c.p.c. valutabile dal giudice

di Lucia Izzo - Niente test del DNA, ma comunque "padre" agli occhi della legge poiché non presentandosi alle convocazioni del CTU ha di fatto reso impossibile il test di paternità. Tale comportamento è valutabile dal giudice ed è dotato di elevato valore indiziario da poter da solo dimostrare la fondatezza della domanda.


Lo stabilisce la Corte di Cassazione, sez. I civile, nella sentenza n. 23296/2015 (qui sotto allegata) che ha rigettato il ricorso di un uomo dichiarato dai giudici padre di una ragazza nonostante la mancanza di alcuna conferma genetica.

Per i giudici di merito il ricorrente, assente ingiustificato alle due convocazioni effettuate dal CTU, non avrebbe contestato di aver avuto una relazione sessuale con la madre della ragazza, ma solo una relazione affettiva con costei. Su queste basi è stato ritenuto ragionevole presumere che il ricorrente abbia inteso sottrarsi agli accertamenti biologici per ostacolare la dimostrazione della paternità poi ugualmente dichiarata.


Concordi i giudici di Cassazione, i quali hanno precisato che la giurisprudenza di legittimità ritiene che "nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda".


Il rifiuto ingiustificato da parte del padre di sottoporsi agli esami ematologici, valutato il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti.


L'uomo lamenta che la Corte di appello ha applicato alla fattispecie, tipicamente attinente a diritti indisponibili, il principio di non contestazione. In realtà, proseguono gli Ermellini, "l'indisponibilità riguarda ovviamente lo status e non di certo la rappresentazione fattuale della relazione da cui potrebbe derivare l'acquisizione di uno status".

Per altro verso la non contestazione in un giudizio di accertamento di paternità non può non consistere nel consapevole riconoscimento della paternità.


La contestazione del ricorrente è generica, sicché appare univocamente interpretabile il suo rifiuto di sottoporsi alle indagini peritali che, per la loro assoluta attendibilità, avrebbero potuto invece costituire l'elemento decisivo per suffragare la radicale negazione di una relazione con la madre della ragazza.


Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio., nonché dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.

Cass., sez. I civile, sent. 23296/2015

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