Per la Cassazione, è meglio l'amministrazione di sostegno in considerazione delle residue capacità e dell'esperienza di vita maturata

di Lucia Izzo - Non può pronunciarsi interdizione nei confronti di un soggetto affetto da un lieve ritardo mentale che comporta esclusivamente l'incapacità di gestire pratiche amministrative correlate al rilevante patrimonio ricevuto in eredità, senza incidere sulle necessità del vivere quotidiano. In tal caso viene il rilievo lo strumento dell'amministrazione di sostegno.

La prima sezione civile della Corte di Cassazione, sentenza n. 17962/2015 (qui sotto allegata), ha bocciato il ricorso presentato da una donna contro una decisione del Tribunale di Bergamo che revocava la pronuncia d'interdizione inizialmente adottata nei confronti di sua figlia.

La signora lamentava che lo stato di infermità della figlia potesse pregiudicare la gestione dell'ingente patrimonio ereditato dal padre.

I giudici di merito rilevano, tuttavia, che si tratta di una donna di oltre quarant'anni, con una propria vita personale, affettiva e familiare ormai distinta da quella della famiglia d'origine, che ha completato studi scolastici superiori e lavorato per anni come impiegata in un ufficio con mansioni esecutive.

In aggiunta, costei ha anche intrapreso una stabile convivenza con un uomo manifestando l'intenzione di contrarre con lui matrimonio.

Dalla CTU in tal sede espletata, la donna è risultata affetta da una stabile infermità di mente, consistente in un disturbo della personalità generante un ritardo mentale che la rendeva incapace unicamente della gestione delle complesse pratiche amministrative correlate al patrimonio eredito, senza incidere sulla gestione di importi di denaro modesti o di provvedere alle sue esigenze quotidiane.

I giudici ritengono quindi insussistenti i presupposti per l'inabilitazione, mentre più giusto sarebbe stato ricorrere allo strumento dell'amministrazione di sostegno dotato di maggior flessibilità ed adattabilità alle esigenze di tutela dell'incapace, che ne limita la capacità nella minore misura possibile.

I giudici del Palazzaccio accolgono la medesima ricostruzione precisando che l'introduzione dell'amministratore di sostegno nel nostro ordinamento non è stata dettata al fine di giustificare il diverso grado di infermità che consente l'adozione in alternativa all'interdizione, ma in considerazione della maggiore idoneità dell'amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze del soggetto carente di autonomia (anche parzialmente o temporaneamente) offrendo uno strumento di assistenza che ne sacrifichi in minor misura possibile la capacità d'agire.

Correttamente, i giudici di merito hanno dato preminente rilievo non al grado d'infermità mentale della donna, ma alle sue residue capacità, dall'esperienza di vita maturata allo svolgimento di un'attività lavorativa, concludendo che non le si poteva impedire il compimento, con il supporto del'amministratore di sostegno, anche degli atti di gestione e di amministrazione dell'ingente patrimonio.

Gli Ermellini chiariscono che l'amministrazione di sostegno è strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto e diversificato dall'interdizione esclusivamente sotto il profilo funzionale.

Il criterio di scelta tra i due istituti è imperniato sulla valutazione delle caratteristiche specifiche delle singole fattispecie e sulle esigenze da soddisfare do volta in volta, fermo restando il carattere residuale dell'interdizione (riservata a quelle ipotesi in cui una diversa misura non spiegherebbe alcuna efficacia protettiva).

È chiaro che il legislatore abbia voluto, con la legge n. 6/2004, introdurre una disciplina volta a salvaguardare nella massima misura possibile l'autodeterminazione del soggetto in difficoltà, superando il momento autoritativo che determina il divieto di compiere una serie più o meno ampia di attività, a favore di un'effettiva protezione della sua persona che si attua prestando la massima attenzione alla sua sfera volitiva ed alle sue esigenze, in conformità con il rispetto costituzionale dei diritti inviolabili dell'uomo.

I giudici d'appello hanno escluso l'applicazione dell'interdizione, seppur considerata la rilevante entità patrimoniale della donna accresciuta ulteriormente dalla titolarità delle quote di una società immobiliare a sua volta in possesso di un ingente patrimonio.

Dopo aver attentamente vagliato le circostanze, il Tribunale ha ritenuto che ciò non giustificasse l'esclusione, necessariamente collegata alla pronuncia dell'interdizione, finanche della capacità di compiere da sola gli atti necessari per la soddisfazione delle esigenze della vita quotidiana, ma solo l'imposizione del supporto di un amministratore di sostegno ed eventualmente l'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore, ai fini della gestione del predetto patrimonio.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Cass., I sez. Civile, sent. 17962_2015

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