Per la Cassazione, la causa di non punibilità costituita dal rapporto di coniugio tra responsabile e parte offesa non è estensibile per analogia alla convivenza more uxorio

Causa di non punibilità e convivenza more uxorio

La causa di non punibilità per il rapporto di coniugio tra responsabile e parte offesa non si può estendere per analogia alla convivenza more uxorio. Lo ha chiarito la seconda sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 19663/2023 (sotto allegata).

La vicenda ha origine dalla decisione della Corte d'appello di l'Aquila che ha assolto un uomo dai reati di furto e danneggiamento aggravati perchè ritenuto non punibile ai sensi dell'art. 649 c.p.

Giunta la vicenda in Cassazione, la stessa ha accolto9 il ricorso del procuratore generale, annullando la sentenza d'appello, ritenendo che tale provvedimento, nel ritenere l'operatività della causa di esclusione della punibilità, sulla base della sua estensione al rapporto di convivenza more uxorio, avesse omesso di prendere in considerazione sia il fatto che le condotte delittuose erano realizzate nell'ambito di una convivenza tutt'altro che stabile e pacifica, sia la circostanza, rilevante ai fini della verifica in ordine alla configurabilità che le condotte di furto aggravato ex articolo 61 n. 11 c.p. e quelle di danneggiamento, connotate da violenze minaccia, risultavano commesse in un contesto storico fattuale caratterizzato da continui episodi di violenza, evenienza quest'ultima che escludeva la possibilità di applicazione della causa di non punibilità ai sensi del terzo comma dell'art. 649 c.p.

La sentenza rescissoria, preso atto delle coordinate espresse nella sentenza di annullamento, ha osservato che la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall'articolo 649 c.p. non si estende alla convivenza more uxorio.

Avverso la sentenza del giudice del rinvio ha presentato ricorso per cassazione l'imputato deducendo violazione di legge con riguardo alla mancata applicazione della causa soggettiva di esclusione della punibilità ex articolo 649 in relazione ai reati sopraindicati.

Gli Ermellini ritengono il ricorso destituito di fondamento giuridico.

"Il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, recante modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76 - affermano infatti - ha introdotto nel codice penale l'art. 574-ter. Tale norma prevede che, agli effetti della legge penale, il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. Parallelamente si è introdotto il citato comma 1 -bis dell'art. 649, in base al quale la causa di non punibilità opera anche nei confronti di chi ha commesso alcuno dei fatti di cui al Titolo XIII, Libro II, in danno della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Tale duplice, contestuale, intervento, rende palese l'intento del legislatore di attribuire rilievo, ai fini dell'operatività della causa di esclusione della punibilità che interessa, all'esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola rispetto a quella more uxorio, differenza significativa sulla quale, la Corte costituzionale si è già espressa, con ordinanza del 21 febbraio 2018 n. 57".

In tale sede il giudice delle leggi, proseguono dal Palazzaccio, "ha dichiarato manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, cod. pen., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, a seguito della novella apportata dal d.lgs. n. 6 del 2017, sancisce che la causa di non punibilità prevista per i delitti contro il patrimonio, operi anche a beneficio della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e non anche del convivente more uxorio".

Inoltre, anche pregressa giurisprudenza della Consulta, ha sempre sottolineato "la non meccanica assimilabilità tra la convivenza e il rapporto di coniugio, in quanto la prima risulta basata sulla quotidiana affectio, in qualsiasi momento revocabile e, dunque, non sempre dotata dei caratteri di certezza e di tendenziale stabilità, propri del vincolo coniugale, questi ultimi incontrovertibilmente e documentalmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche, nel caso di unione qualificata".

Trattasi, dunque, "di una causa di esclusione della punibilità in senso stretto come tale non applicabile analogicamente (articolo 14 preleggi)".

Nè sul punto, osservano infine i giudici della S.C., "possono essere richiamate le argomentazioni delle Sezioni unite, Fialova, del 2021 che si sono occupate dell'articolo 384 primo comma codice procedura penale e che hanno affermato che, se si dovesse convenire che siamo in presenza di una disposizione avente natura di norma eccezionale, non potrebbe operare un'estensione dell'«esimente» al di là del suo tenore letterale, perché si violerebbe il disposto dell'art. 14 delle preleggi. Ed è stato precisato che la disposizione dell'art. 384, primo comma, cod. pen., non può essere considerata come una causa di non punibilità in senso stretto, ma piuttosto una scusante soggettiva, che investe la colpevolezza, impedendo la punizione in presenza di una condotta che viene percepita come inesigibile".

Scarica pdf Cass. n. 19663/2023

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