di Angelo Argese - La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, si occupa di tutelare l'inderogabile diritto dell'individuo alla libertà di pensiero, coscienza e religione garantendo la tassatività dei limiti posti dagli Stati aderenti, circoscritti alle sole esigenze di pubblica sicurezza, protezione dell'ordine, salute o morale pubblica, protezione dei diritti e libertà altrui.

Nel contesto delle relazioni familiari, il problema della libertà religiosa rileva, in particolare, nei casi, accentuati nella fase patologica della crisi della coppia, in cui si verifichino contrasti tra i due genitori circa la scelta educativa più idonea, sul piano religioso, alla formazione e allo sviluppo di una coscienza morale del minore.

L'art. 9 della Convenzione riconosce al genitore, seppure nei limiti già citati, la libertà di manifestare la propria religione mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti nonché quella di modificare il proprio credo. La libertà - diritto, al contempo individuato anche come dovere, del genitore di educare il figlio nel rispetto delle proprie convinzioni religiose è riconosciuto, anche, dagli artt. 29 e 30 Cost., seppure contemperato dall'esigenza di dover tenere conto della inclinazione naturale e aspirazione del minore, come prescritto dall'art. 147 c.c.. Tale bilanciamento delle posizioni è ampiamente condiviso dalla dottrina[1] ma, in concreto, potrebbe dar luogo a situazione non facilmente risolvibili.

Indispensabile sottolineare come l'art.2 della Costituzione assicura il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (quale quello del minore alla formazione della coscienza) sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (dunque, in primis, nella famiglia). Ne deriva che il problema religioso non riguarda solo l'eventuale contrasto tra i credo dei due genitori ma anche quello tra bambino e genitori in merito all'orientamento religioso da seguire.

Il minore, raggiunta una capacità matura di discernimento autonomo, normalmente al compimento del dodicesimo anno di età, potrà liberamente determinare le proprie scelte anche religiose e lo stesso legislatore attribuisce rilevanza alle sue scelte nel contesto dell'istruzione scolastica superiore[2]. La dottrina si chiede se sia possibile per il minore raggiungere quella capacità di autodeterminarsi in modo consapevole se non grazie all'educazione, anche morale e religiosa da parte dei genitori[3]. Prima che il figlio abbia raggiunto quello status di maturità, infatti, il genitore, assolvendo al suo dovere educativo non può, e non dovrebbe, purificare la sua attività educativa da qualsiasi condizionamento religioso che, al contrario, permea nella sua cultura, nel suo stile di vita, e, inevitabilmente, nella sua scelta pedagogica, come valori e principi di vita irrinunciabili.

Riguardo l'appartenenza a religioni diverse da parte dei genitori, in sede di scelta dell'affidatario, in un primo momento la giurisprudenza indicava una forte preferenza nei confronti del genitore di fede cattolica. Poi sviluppatasi l'idea della libertà di ciascun genitore di indirizzare la prole verso la propria religione[4], si è escluso che l'elemento religioso potesse configurarsi come criterio di scelta in sede di affidamento[5].

Un altro aspetto del problema è rappresentato dal caso in cui uno dei genitori dovesse abbandonare la religione, prima comune rispetto all'altro coniuge, e dovesse, da ciò, derivare un contrasto nella scelta educativa dei figli. In proposito, già dagli anni '70, la  giurisprudenza si indirizzava verso la totale condivisione di un principio di continuità, ritenendo traumatico e pregiudizievole al minore un mutamento dell'orientamento religioso, quale risulti dal modello educativo impartito[6]. Successivamente, la prassi giurisprudenziale si è mostrata meno rigida, più flessibile nelle valutazioni: si è, dunque, evidenziata l'irrilevanza del mutamento dell'orientamento religioso il quale, anzi, deve considerarsi naturale nello sviluppo interiore dell'essere umano, di qualunque età, in quanto legato alle continue esperienze di vita, pur dovendo evitare che si produca un turbamento nel minore in una fase di ricerca e sviluppo della propria identità, anche tenendo conto del ruolo educativo riconosciuto ad entrambi i genitori. Si è, invece, ritenuta essenziale una valutazione autonoma dei comportamenti del genitore, ad esempio particolarmente estremista e intransigente nell'osservanza della pratica religiosa, dai quali potrebbe derivare un pregiudizio, anche solo eventuale, per il figlio[7].

Nella sentenza n.9546 del 12 giugno 2012, la Corte di Cassazione ritiene possano essere imposti limiti alle scelte educative dei genitori se necessarie ad evitare confusioni e turbamenti nella personalità del minore. Nel caso considerato, il bambino era stato, infatti, battezzato secondo il rito cattolico, di comune accordo tra i coniugi; dopo le separazione, la madre, genitore collocatario che aveva abbracciato la fede dei Testimoni di Geova, cercava di imporre i principi della nuova religione al figlio, nonostante l'opposizione del padre. Anzitutto, in riferimento al carattere impositivo di principi religiosi diversi da quelli prima condivisi dalla famiglia, i giudici sottolineano come "la madre, seppure in piena buona fede, non riconoscendo il danno per il bambino, non aveva compreso che il piccolo non era pronto ad un cambiamento così radicale, proprio in un momento in cui già gli era stato richiesto di affrontare un evento tanto doloroso quale la separazione dei genitori". Altrettanto importante è, poi, la necessità di contestualizzare l'esperienza religiosa, allontanandosi da un contrasto meramente ideologico ed invece valutando il vero significato della religione per il figlio di tenera età: nel caso di specie, si sottolineava che "per un bimbo di 4-5 anni, il Natale non assume un significato religioso ma rappresenta, così come la festa di compleanno, un momento di intima comunione familiare, pertanto la celebrazione di tali ricorrenze costituisce un segno di continuità con il passato e con il contesto familiare non più esistente". Circa la necessità di rispettare le esigenze di serenità e i naturali tempi di sviluppo e di formazione morale e religiosa del bambino, i giudici evidenziano "che un indottrinamento precoce e intransigente, a qualunque fede religiosa si facesse riferimento, poteva risultare gravoso per una mente in fase di evoluzione, oltre che controproducente, derivandone il rischio di una connotazione della figura divina in termini solo persecutori e punitivi, fonte di ansia e angoscia anziché di rassicurazione".

In questa tendenza si colloca, anche, la decisione del Tribunale di Bologna che affidava la prole minore alla madre, che si era allontanata, nel frattempo, dalla religione prima comune all'altro coniuge, perché ritenuta "più aperta e completa, scevra da quelle coercizioni volte a plasmare il minore secondo il proprio convincimento"[8].

Oggi la tendenza della giurisprudenza è quella di diffidare non solo da confessioni religiose estremiste e troppo intransigenti ma anche da atteggiamenti di fanatismo del genitore aderente al movimento[9].

di Angelo Argese

Interesse del minore e procedure giudiziarie: forme e modalità di tutela. Aggiornato al d. Lg.vo n.154/2013 Questo testo è tratto dal volume:
Interesse del minore e procedure giudiziarie: forme e modalità di tutela. Aggiornato al d. Lg.vo n.154/2013

Autore: Angelo Argese (Autore)

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[1] Si veda, sul punto, Botta R., Manuale di diritto ecclesiastico, valori religiosi e società civile, Torino, Giappichelli, 1998, pp. 224-230.

[2] La legge 18 giugno 1986, n.281, attribuisce, all' art. 1, allo studente della scuola superiore, il diritto di scegliere se avvalersi o meno dell' insegnamento della Religione Cattolica.

[3] Il Trib. Di Brescia, 4 luglio 1996 rigettava la domanda presenta, in sede di separazione, da un genitore, di far ricevere ai figli minori i sacramenti della religione cattolica; il Tribunale osservava che, trattandosi di scelte personalissime e di coscienza, in assenza di un accordo tra i genitori, la questione sarebbe stata risolta dagli stessi figli al raggiungimento della maggiore età.

[4] Si veda Dogliotti, Separazione dei genitori, educazione religiosa della prole, controllo del giudice, in Diritto di famiglia e della persona, 1997, 3.

[5] Si veda Cassazione del 27 ottobre 1999, n.12077, in Famiglia e diritto, 2000, p.77. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è intervenuta per affermare la libertà di educare la prole secondo le proprie convinzioni religiose e senza discriminazioni tra i genitori, contestando la tendenza, in diversi Paesi, a negare l'affidamento del minore al genitore Testimone di Geova. Si veda sul punto la sentenza del 23 giugno 1993, nel caso Hoffman c. Austria e del 16 dicembre 2003, nel caso Martinez c. Francia.

[6] Tribunale di Roma, 3 febbraio 1988 in Diritto della famiglia e delle persone, 1990, p.476.

[7] Si veda P. Floris, Appartenenza confessionale e diritti dei minori. Esperienze giudiziarie e modelli di intervento, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, Il Mulino, aprile 2000.

[8] Tribunale di Bologna, 5 febbraio 1997, in Diritto della famiglia e delle persone, 1999,  1.

[9] Per tutelare il minore da forme di eccesso il giudice ordinava al genitore affidatario, di religione diversa rispetto all' ex coniuge, di non portare con sé il figlio durante le riunioni del movimento dei Testimoni di Geova evitando forme dirette di condizionamento. Si veda Trib. Palermo, 12 febbraio 1990, in Foro italiano, I, p.271.


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