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Le rinunce e le transazioni

I casi di invalidità, le impugnazioni e la giurisprudenza nel rapporto di lavoro
In questa pagina: Le rinunzie e le transazioni | Casi di invalidità | Termini per l'impugnazione | Forma dell'impugnazione | Eccezioni all'invalidità | Qualificazione dell'invalidità | Giurisprudenza
Il rapporto di lavoro: indice della guida

Le rinunzie e le transazioni

Con il termine rinuzie si fa riferimento a quegli atti unilaterali recettizi con i quali i lavoratori rinunciano ad alcuni dei loro diritti. Le transazioni, invece, sono quei contratti con i quali i lavoratori e i datori di lavoro pongono fine a una lite attuale o ne prevengono una potenziale facendosi reciproche concessioni.

In forza di quanto disposto dall'articolo 2113 del codice civile, tuttavia, le rinunzie e le transazioni non sempre sono valide.

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Casi di invalidità

In particolare, le rinunzie e le transazioni sono invalide quando hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro che derivano da disposizioni inderogabili di legge e di contratti o accordi collettivi e concernono i rapporti indicati dall'articolo 409 del codice di procedura civile.

Tale ultima specificazione sta a significare che le rinunce e le transazioni che il nostro ordinamento reputa invalide non sono solo quelle concernenti il rapporto di lavoro subordinato, ma anche quelle riguardanti il rapporto di lavoro parasubordinato e la mezzadria e gli altri contratti agrari.

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Termini per l'impugnazione

Occorre precisare che la regola contenuta nell'articolo 2113 del codice civile non prevede un'indisponibilità assoluta del diritto di fonte inderogabile, quanto, piuttosto, un'indisponibilità relativa.

In tale norma, infatti, si prevede che le rinunzie e le transazioni invalide devono essere impugnate entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data in cui hanno avuto luogo se successiva. Ciò a pena di decadenza.

Di conseguenza, può dirsi che i diritti di fonte inderogabile sono caratterizzati da una disponibilità condizionata alla mancata impugnazione della rinuncia o della transazione.

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Forma dell'impugnazione

Con riferimento alla forma dell'impugnazione delle rinunzie e delle transazioni, la legge non prevede particolari adempimenti, ma anzi stabilisce che esse possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto del lavoratore, anche stragiudiziale, purché si tratti di atto idoneo a rendere nota la volontà di chi lo pone in essere.

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Eccezioni all'invalidità

L'invalidità sancita dall'articolo 2113 del codice civile conosce comunque delle eccezioni, sancite dalla stessa norma.

Gli atti di rinunzia o transattivi, infatti, sono sempre validi se conclusi presso le sedi di certificazione o in fase di conciliazione, sia essa giudiziale, che amministrativa, che sindacale.

Alla base di tale eccezione c'è il fatto che, nei casi con riferimento ai quali essa opera, il lavoratore dovrebbe essere consigliato in maniera adeguata, con conseguente superfluità della tutela prevista in generale per le rinunce e le transazioni.

La disciplina dettata dall'articolo 2113 c.c., poi, non trova applicazione con riferimento ai negozi estintivi del rapporto di lavoro, come le dimissioni, le risoluzioni contrattuali e le rinunce ad impugnare un licenziamento.

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Qualificazione dell'invalidità

Quando il legislatore sancisce l'invalidità delle rinunzie e delle transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili di fonte legislativa o collettiva non ha cura di qualificare anche di quale tipo di invalidità si tratti.

In dottrina, tuttavia, è ormai pacifico che nel caso di specie ci si trovi di fronte ad un'ipotesi di annullabilità. Del resto, da un lato, si prevede l'onere dell'impugnazione e, dall'altro, si riserva quest'ultima al solo lavoratore.

Di conseguenza, pur se dopo che sia intervenuta nei termini l'impugnazione stragiudiziale, l'azione giudiziale può essere proposta nel termine di prescrizione quinquennale.

Inoltre, la sentenza con la quale viene decretata l'invalidità di una rinunzia o di una transazione, ha natura costitutiva.

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Giurisprudenza

Ecco alcune sentenze significative in materia di rinunzie e transazioni:

"In tema di rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro, è valido l'atto di conciliazione sindacale, intercorso tra lavoratore e società datrice di lavoro, con cui le parti esprimano la volontà di transigere la controversia, avente ad oggetto la declaratoria della nullità del termine apposto al contratto e la sua conversione in rapporto a tempo indeterminato, con il riconoscimento di una diversa natura giuridica del rapporto" (Cass. n. 15874/2015)

"Le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in una conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 cod. civ., con conseguente irrilevanza degli eventuali vizi formali del relativo procedimento, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 cod. civ." (Cass. n. 6265/2014)

"Il lavoratore, nell'ambito dei suoi diritti, può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell'articolo 2113 del Cc, che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi o accordi collettivi; infatti, l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell'area della libera disponibilità, come è desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum, di cui il medesimo dispone, dell'ammissibilità di risoluzioni consensuali del contrato di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti del licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione" (Cass. n. 22105/2009).

"L'art. 2113 c.c., il quale ha valore di norma ellitticamente riferita ai diritti di natura retributiva e risarcitoria derivanti al lavoratore dalla lesione di fondamentali diritti della persona, non comprende che le pretese patrimoniali maturate dal lavoratore in conseguenza del mancato godimento di tali diritti, rimanendo invece soggetti al più radicale regime della nullità ex art. 1418 c.c., gli atti dismissori degli stessi" (Cass. n. 2360/2006)

"La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore abbia l'onere di impugnare nei termini di cui all'art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazioìne del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato" (Cass. n. 9407/2001)
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Data pubblicazione: settembre 2016