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Concorrenza sleale

La concorrenza sleale è disciplinata dal codice civile, dalla legge n. 287/1990 e da  norme speciali. La norma che definisce ed elenca gli atti di concorrenza sleale è l'art. 2598 c.c. a cui consegue l'applicazione di sanzioni e il risarcimento del danno

Concorrenza sleale: cos'è

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La concorrenza sleale si identifica in condotte, previste dal codice civile e da legge speciali, che vengono messe in atto da un imprenditore ai danni di uno o più imprenditori che operano nel suo stesso settore.

In passato più che punire le condotte di concorrenza sleale, ci si preoccupava di tutelare i segni distintivi dell’imprenditore come la ditta e l'insegna.

La concorrenza sleale è stata tutelata per la prima volta in ambito internazionale dall'art. 10 bis della  Convenzione d'unione di Parigi nel 1883.

Concorrenza sleale codice civile

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A livello interno invece, la prima disciplina in un certo senso organica, della materia, è stata quella che il legislatore ha introdotto nel codice civile. Il titolo X del Libro V del Codice civile infatti, al capo I contempla la disciplina della concorrenza sleale, contenuta nello specifico negli artt. 2595-2600.

Ad occuparsi, seppur in via indiretta, della concorrenza però è anche l’art. 41 della Costituzione il quale sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata, disponendo tuttavia che la stessa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, alla sicurezza, all'ambiente e alla dignità umana. Spetta alla legge il compito di determinare i controlli e i programmi più opportuni affinché sia l'attività economica pubblica che quella privata sia indirizzata e coordinata per finalità sociali e ambientali. 

Limiti alla concorrenza: ratio  

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La concorrenza, quando esercitata nel rispetto delle regole, è positiva per l'economia. Essa rappresenta un importante stimolo per la crescita di qualsiasi impresa. Essa infatti, come dipone l'art. 2595 c.c. “deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge.”

Per “legge” deve intendersi ovviamente non solo il codice civile, ma anche la normativa comunitaria e la legge n. 287/1990, che contiene nello specifico le norme per la tutela della concorrenza e del mercato, che ha anche istituito anche l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato a cui sono stati riconosciuti ampi poteri investigativi e di indagine.

Patto limitativo della concorrenza

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I limiti alla concorrenza, oltreché dalla legge, possono essere imposti da un accordo. A disporlo è l'art. 2596 c.c, che si occupa dei limiti contrattuali della concorrenza.

Limiti alla concorrenza che la legge prevede siano provati per iscritto e che sono validi a condizione che siano limitati a una certa zona o per una determinata attività e comunque per una durata che non può superare i 5 anni. Detto limite temporale è così importante che se anche le parti dovessero accordarsi per una durata superiore, il patto sarebbe comunque valido per la durata di 5 anni.

Patto di non concorrenza del lavoratore subordinato

A disciplinare limiti ulteriori alla concorrenza è anche quella che regola il lavoro subordinato. In questo caso il patto limitativo non interviene tra due operatori economici, ma tra il datore di lavoro e il proprio dipendente. 

La norma di riferimento per la regolazione di questo patto è l'art. 2125 c.c. Essa dispone in sostanza che il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto richiede la forma scritta a pena di nullità dello stesso. Esso è parimenti nullo se non prevede un corrispettivo per il lavoratore e se non prevede dei limiti in relazione all'oggetto, alla durata e al luogo.

La durata riveste anche in questo caso una particolare importanza. Lo si comprende perché il terzo comma dell'articolo dispone che se la durata del vincolo viene concordata per una durata superiore di 3 anni nei confronti dei dipendenti con carica dirigenziale e di 5 negli altri casi, la durata è comunque ridotta a questi termini di durata.

Presupposti di applicazione

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Fatta questa premessa sull'evoluzione della disciplina e sulle varie limitazioni delle concorrenza, passiamo all'analisi della disciplina che riguarda la concorrenza sleale in senso stretto.

La disciplina in tema di concorrenza sleale trova applicazione al ricorrere di determinati requisiti:

  • innanzitutto è necessario che sia il soggetto che pone in essere l'atto di concorrenza che quello che lo subisce siano imprenditori;
  • in secondo luogo occorre che tali soggetti si trovino in un rapporto di concorrenza economica. Secondo l'opinione dominante la concorrenza può essere anche solo potenziale e non deve riguardante necessariamente la stessa categoria di consumatori. Essa inoltre può riguardare anche operatori posti su livelli economici diversi.

Il primo requisito, ovverosia quello soggettivo, non emerge però espressamente dal dato letterale, ma lo si ricava in via indiretta dal secondo requisito. Se, infatti, il soggetto che subisce l'atto di concorrenza deve essere un imprenditore, lo stesso non potrebbe dirsi per il soggetto che lo pone in essere, se non considerando la necessità che tra i due soggetti vi sia una concorrenza, cosa che può verificarsi solo tra imprenditori.

Violazione della correttezza professionale

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Ne consegue che si ha concorrenza sleale quando la competizione tra imprenditori non si svolge nel rispetto dei principi della correttezza professionale.

Quando tali principi non vengono rispettati, il comportamento può essere sanzionato come sleale. Lo stesso quindi deve essere interrotto, i suoi effetti devono essere eliminati e, se sussistono dolo o colpa anche presunta, si deve provvedere al risarcimento del danno cagionato.

Esempi di concorrenza sleale

Sono esempi di violazione di principi di correttezza professionale, oltre a quelli indicati nello specifico dal codice civile, che integrano atti di concorrenza sleale, anche quelli che si vanno a illustrare.

Boicottaggio economico: consiste nell'isolare economicamente un determinato soggetto attraverso un accordo che coinvolge più soggetti. Tipico è l'esempio dell'accordo collettivo finalizzato a impedire a un soggetto di commerciare i suoi prodotti. Il nostro ordinamento considera il boicottaggio un reato ai sensi dell'art. 507 c.p che viene punito con la pena della reclusione fino a tre anni, che arrivano a sei se concorrono violenza e minacce.

Dumping: è una pratica che prevede la vendita di prodotti a prezzi molto bassi per renderli più appetibili per i consumatori ed eliminare in questo modo i concorrenti.

Concorrenza parassitaria: si realizza quando i concorrenti copiano prodotti, servizi,  pubblicità o usano marchi similari per  ingenerare confusione. 

Storno di dipendenti: pratica che consiste nell'istigare i dipendenti di una certa azienda concorrente  a dare le dimissioni per poi assumerli, solo per danneggiare l'avversaria.

Sviamento di clientela: condotta che viene adottata da ex dipendenti o manager di un'azienda i quali dirigono la clientela della stessa verso altre imprese, mediante pratiche sleali.

Spionaggio industriale: acquisizione non autorizzata di informazioni industriali, commerciali e appropriazione illecita di know how.

Concorrenza sleale art. 2598 c.c. 

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Il nostro legislatore non definisce in via generale la concorrenza sleale. Esso indica piuttosto quelli che sono gli atti di concorrenza sleale all'art. 2598 c.c.

Questo articolo infatti descrive ed elenca i seguenti atti di concorrenza sleale:

  • usare nomi o segni distintivi per creare  confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri;
  • imitare servilmente i prodotti di un concorrente;
  • compiere con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e l'attività di un concorrente;
  • diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito;
  • appropriarsi di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;
  • avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

Sanzioni e risarcimento del danno

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Abbiamo visto che la libertà di iniziativa economica conferisce agli imprenditori ampi spazi di azione nello svolgimento della propria attività di impresa. Tali spazi, tuttavia, risultano limitati di fronte alla necessità di tutelare la correttezza e la lealtà della competizione di mercato, che, pur accettata a livello legislativo, non può spingersi oltre confini di liceità prestabiliti. 

A tale obiettivo concorrono anche gli artt. 2599 e 2600 c.c. del codice Civile, che si occupano di sanzionare la  concorrenza sleale e di disporre in favore del danneggiato il risarcimento del danno.

L'art. 2599 c.c. dedicato alle sanzioni da applicare nei confronti di chi commette atti di concorrenza sleale, dispone che  la sentenza che li accerta ne inibisce la continuazione e adotta i provvedimenti opportuni affinché gli effetti prodotti fino a quel momento vengano eliminati.

Attraverso un provvedimento inibitorio si accorda così una tutela preventiva, ordinando il soggetto responsabile di astenersi, anche in futuro, dal tenere una delle condotte integranti atti di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c.

Il risarcimento del danno in caso di atti concorrenza sleale viene accordato se questi sono compiuti con dolo o colpa grave. In queste ipotesi può anche essere ordinata la pubblicazione della sentenza.

La norma al terzo comma fa infine un'importante precisazione, ossia che “Accertati gli atti di concorrenza sleale, la colpa si presume.” Perché si configuri un illecito concorrenziale è sufficiente quindi la sola potenzialità o pericolosità di un danno, che devono dare vita a una condotta vietata e in grado di recare un pregiudizio.

Concorrenza potenziale

Il risarcimento del danno in presenza di una condotta di concorrenza sleale va riconosciuto, in base a quanto sancito dalla Cassazione nella sentenza n. 10643/2015, anche quando la concorrenza è potenziale.

Gli Ermellini chiariscono infatti che: “ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni non si richiede che un danno sia stato già prodotto in relazione ad una attività concorrenziale in atto, essendo invece sufficiente una situazione di concorrenza potenziale (Cass., sez. 1, 12 febbraio 2009, n. 3478, m. 606757). In particolare si ritiene che una situazione di concorrenza potenziale risulti ravvisabile sia in relazione ad una possibile estensione o espansione nel futuro dell’attività imprenditoriale concorrente (purchè nei termini di rilevante probabilità), sia nell’ipotesi di attività preparatorie all’esercizio dell’impresa, quando si pongano in essere fatti diretti a dare inizio all’attività produttiva (Cass., sez. 1, 15 dicembre 1994, n. 10728, m. 489211).”

Pubblicità ingannevole e comparativa

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Dalla generica disciplina in tema di concorrenza sleale si è enucleata una specifica regolamentazione che sanziona la pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa illecita, sulla base dell'assunto che ogni divulgazione di notizie tra il pubblico a scopo promozionale deve essere palese, veritiera, corretta e riconoscibile come tale.

Tale regolamentazione è contenuta del Codice del consumo e persegue l'obiettivo di tutelare non solo imprenditori in concorrenza, come fa la generica disciplina della concorrenza sleale, ma i consumatori.

Nel dettaglio, una pubblicità può essere definita ingannevole quando risulta idonea a indurre in errore i consumatori riguardo al prodotto o al servizio che promuove, pregiudicandone così le scelte economiche.

Si ha, invece, pubblicità comparativa illecita quando il confronto dei beni e servizi di un'impresa con quelli dei propri concorrenti, di per sé lecito, riguarda prodotti non in concorrenza, ne provoca la confusione, inganna i consumatori, persegue il solo scopo di screditare il concorrente o concerne caratteristiche dei prodotti che non sono essenziali, pertinenti né verificabili.

Avverso tali mezzi pubblicitari è apprestata una specifica tutela amministrativa, affidata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che può inibire gli atti di pubblicità ingannevole o comparativa illecita e ordinare l'eliminazione degli effetti da essi eventualmente prodotti.