Il reato di cui all'art. 5, lettera b), della Legge n.° 283/1962 alla luce della giurisprudenza recente

di Manuele Merlo Serventi - La tutela della sicurezza alimentare è uno degli obbiettivi fondamentali al quale tende il nostro ordinamento giuridico nazionale ed europeo.

Per conseguirlo effettivamente si sono approntate nel corso del tempo diverse risposte di carattere sia amministrativo, che di carattere penale.

Per quanto concerne tale ultimo ambito giuridico vengono in rilievo prepotentemente le varie ipotesi di reato specificate all'art. 5 della Legge n.° 283/1962 che possiedono diversi elementi in comune.

I reati alimentari quali reati di pericolo

Anzitutto, i delitti previsti dalla disposizione sopra richiamata sono puniti tutti, al successivo art. 6 del medesimo testo normativo, "... con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda da Euro 309 a Euro 30.987. Per la violazione delle disposizioni di cui alle lettere d) e h) dell'articolo 5 si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o dell'ammenda da Euro 2.582 a Euro 46.481".

In seconda battuta, per giurisprudenza sul tema oramai da considerarsi pacifica, si tratta di fattispecie penali configuranti reati di pericolo.

Una qualificazione compatibile, del resto, con l'intento perseguito di garantire la massima sicurezza alimentare possibile.

Reato di pericolo, pertanto, deve considerarsi anche quello previsto all'art. 5, lettera b), della Legge n.° 283/1962 che si realizza mediante l'impiego nella produzione, la vendita la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in " ... cattivo stato di conservazione".

Il cattivo stato di conservazione

L'utilizzo della formulazione in " ... cattivo stato di conservazione" ha posto diverse problematiche di ordine interpretativo circa il suo reale significato concreto. Problemi di ordine interpretativo giunti sino al punto di prospettare un possibile profilo di incostituzionalità della fattispecie in questione per mancanza di tassatività.

Reati alimentari: la giurisprudenza

Mancanza che la giurisprudenza intervenuta sulla questione ha ritenuto, tuttavia, di non condividere, affermando che i termini sopra menzionati devono essere riferiti alle caratteristiche estrinseche delle sostanze alimentari considerate.

Caratteristiche estrinseche da valutarsi in base a molteplici parametri ricavabili, ad esempio, dalla stessa Legge n.° 283/1962, dal relativo regolamento di esecuzione e da altri analoghi regolamenti e disposizioni ministeriali, nonché dalle regole di comune esperienza produttiva e commerciali (Si veda a questo proposito anche: Cass. Pen Sez. III, n.° 39318/2018; Cass. Pen., n.° 85/1997 per la quale anche le eventuali anche eventuali indicazioni contenute in circolari del ministero della sanità costituiscono un parametro valido per l'individuazione dell'eventuale cattivo stato di conservazione di sostanze alimentari).

Sulla base dei parametri evidenziati si è ritenuto configurabile il reato previsto all'art. 5, lettera b), della Legge n.° 283/1962 allorquando i prodotti alimentari siano conservati promiscuamente, in quanto detta modalità deve ritenersi inidonea a garantire che i singoli alimenti mantengano inalterate le relative caratteristiche tipologiche (Cass. Pen., Sez. II, n.°12/2014).

Ipotesi delittuosa che si è ritenuto configurabile anche in un caso di detenzione di confezioni d'acqua minerale accatastate alla rinfusa all'esterno di un deposito e, pertanto, sotto la costante luce del sole (Cass. Pen., n.° 39037/2018).

Dalla prospettazione della fattispecie prevista dall'art. 5, lettera b), della Legge n.° 283/1962, discende, infine, per la giurisprudenza, l'applicabilità per i prodotti alimentari considerati della confisca obbligatoria che ne impedisce la restituzione anche quando siano venute meno le istanze probatorie per le quali era stato disposto il sequestro (Cass. Pen., 10 luglio 2017).


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