1- Il condomino Tizietto si chiede se i beni elencati all'art. 1117 c.c. siano senz'altro comuni, oppure che tali divengano soltanto se effettivamente "necessari all'uso comune", come taluno (Salis) sostiene.
Ora, in via di principio, se una certa cosa è nel condominio considerata comune occorre verificarne la sua effettiva e reale necessità per l'uso comune. Se vi sono beni che "servono" (funzionalmente) solo ad alcuni condomini dovrà dirsi che sono comuni solo a loro. Così ad esempio, scale ed ascensori attinenti solo a specifiche ali del caseggiato.
Il quesito si specifica dunque nel chiarire quando determinate parti di un edificio condominiale debbano considerarsi "necessarie all'uso comune".
Detta qualifica appartiene alle cose che condizionano l 'esistenza e/o la godibilità delle parti in proprietà esclusiva.
Ed ecco che ora Tizietto si interroga se le spese sostenute per la portineria siano addebitabili anche ai sottofondi ed ai negozi, La risposta è positiva sulla base della considerazione che la portineria svolge un servizio comune di custodia dell'edificio. Parimenti, i proprietari dei negozi e quelli del piano terreno dovranno concorrere alle spese per l'ascensore ove questo serva al portinaio, così come nel caso del proprietario del piano terreno che se ne serve per accedere al lastrico solare.
Egualmente comuni, per gli stessi motivi, l'impianto centrale della TV ed il citofono.
2- Il lastrico solare, ove dotato di parapetto, assume le funzioni di terrazzo. Ora, in alcuni casi si verifica che sia possibile accedervi solo dall'ultimo appartamento. In tal caso si considera di uso esclusivo di quest'ultimo. Qualche Autore (Salis) ritiene che tale uso esclusivo debba configurarsi come una servitù. Per altri (Branca) l'uso esclusivo non è un diritto in senso proprio ma una semplice facoltà rientrante nel diritto di proprietà.
In realtà, dobbiamo ricordare che le cose comuni sono tali in ragione della loro funzione anche allorchè il loro uso sia riservato a qualche condomino e che quando si resta nell'ambito della destinazione non è applicabile il concetto di servitù.
E' bensì vero che la proprietà, pur comune, è comunque proprietà nella sua interezza, ossia comprendente la facoltà di godere e disporre del bene. E' peraltro perfettamente lecito che il costruttore possa destinare il lastrico solare all'uso esclusivo dell'ultimo piano, attribuendo un riferimento specifico ai contenuti del diritto esclusivo di proprietà di quest'ultimo.
3- E' sorta questione se sia possibile (come sostiene il Branca) la vendita separata delle cose comuni. In realtà il punto nodale da risolvere è l'inerenza funzionale alla proprietà esclusiva. Se, ad esempio, tutti i condomini decidessero di vendere un cortile o un'area accessoria, entriamo piuttosto nella disciplina della comunione. Ove invece un condomino progettasse di vendere un terrazzo confinante con altro, certamente non potrebbe essergli consentito. In via di massima, non sarebbe configurabile una vendita anche fra condomini a meno che si tratti di un bene non "necessario" alla condivisione condominiale.
E qui torniamo al punto nodale dell'istituto condominio, cioè alla frase contenuta nell'art, 1117: "salvo diverso titolo" che sembrerebbe evocare la possibilità di una gestione convenzionale delle quote comuni. In realtà interviene un insuperabile limite concettuale: l'inerenza proporzionale del bene comune ai beni in proprietà esclusiva è calibrata al volere dei proprietari di questi ultimi che sono "serviti" dal bene comune in misura proporzionale al valore specifico di essi. Naturalmente, e qui viene a situarsi la citata frase dell'art 1117, questo valore può assumere una dimensione contrattuale, ove si voglia, ad esempio, attribuire particolare valore alla esposizione, alla vista o alle dotazioni del bene esclusivo.
E' altresì da tenere presente quando dispone l'art. 1346 c.c., per il quale l'oggetto di un contratto deve essere possibile (qui, con riferimento alle esigenze condominiali), essendo ben certo che le cose comuni non sono pertinenze ma parti integranti del condominio.
4- Apparentemente più delicata la questione della comproprietà (e spese relative) di scale, portoni e simili, riferita a negozi, cinema, autorimesse, che dispongono di ingressi propri e separati.
Poichè il concetto di cosa comune è legato (e dipendente) dalla specifica funzione di fatto necessaria per l'esistenza ed il godimento del bene esclusivo, ne consegue che negozi, cinema, ecc. non sono coinvolti. Lo saranno invece in caso di rifacimento delle facciate e casi analoghi.
Negli edifici in cemento armato, per tali motivi, oltre alle colonne portanti, dovranno considerarsi comuni i pannelli che separano i vari appartamenti.
5- Un certo disorientamento si è verificato in dottrina in ordine alla determinazione del valore del piano (art. 68 disp. att.). Detto articolo, precisa i criteri da utilizzare per definire il valore degli appartamenti e indica lo strumento per il relativo accertamento. La delibera assembleare conseguente, come chiarisce il Branca, deve essere adottata all'unanimità poiché ogni decisione della specie esula dalle competenze specifiche dell'assemblea stessa. Nel caso, si tratterà appunto di un negozio di accertamento, di carattere convenzionale.
In via di principio, soprattutto in tema di immissioni (art. 844 cc), occorre evitare che l'uso del bene comune produca nocumento alle cose di proprietà esclusiva. Ben fermo restando il principio che la cosa comune deve essere utilizzata in funzione della sua destinazione, senza forzature e che, comunque, l'uso della cosa comune non può in ogni caso risolversi in pregiudizio per i beni in proprietà esclusiva.
Ed a questo proposito occorre ricordare che vi sono limiti intrinseci all'uso della cosa comune (art. 1102) e questi derivano dalla sua destinazione (e dalla concorrenza degli altri aventi diritto). Certamente, tali limiti non sono assimilabili a quelli del diritto di proprietà, trattandosi di modalità di esercizio del diritto di couso.








