Riflessioni sulla Preservazione dell'Umano nel Diritto. Considerazioni costituzionali sul DDL 1146/24 e il futuro della giurisdizione nell'era dell'intelligenza artificiale

Il Diritto di fronte alla Sfida dell'Automazione

Viviamo un tempo in cui il diritto si trova a confrontarsi con questioni che fino a pochi anni fa appartenevano al regno della fantascienza. L'approvazione da parte del Senato, il 20 marzo 2025, del disegno di legge n. 1146/24 in materia di intelligenza artificiale rappresenta un momento di svolta nella storia del diritto italiano, un tentativo di tracciare i confini tra l'umano e l'artificiale nel sancta sanctorum della giurisdizione.

La norma, nella sua apparente semplicità, nasconde una complessità filosofica e giuridica che richiama alla mente le più profonde riflessioni di Gustavo Zagrebelsky sul "diritto mite". Come il grande costituzionalista ha insegnato, il diritto contemporaneo non può essere rigido e impermeabile alle trasformazioni sociali, ma deve saper dialogare con la realtà senza perdere la propria essenza. Ed è proprio questa essenza che oggi viene messa alla prova dall'irrompere dell'intelligenza artificiale nel mondo della giustizia.

L'Articolo 15 e la Riserva di Umanità.

Il cuore pulsante della riforma si trova nell'articolo 15, comma 1, del DDL, che stabilisce con cristallina chiarezza: "Nei casi di impiego dei sistemi di intelligenza artificiale nell'attività giudiziaria è sempre riservata al magistrato ogni decisione sull'interpretazione e sull'applicazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sull'adozione dei provvedimenti".

Questa disposizione non è un mero tecnicismo normativo, ma rappresenta una vera e propria dichiarazione di principio, un manifesto antropocentrico che rivendica l'irriducibilità dell'atto giudiziario alla mera computazione algoritmica. È la consacrazione legislativa di quello che potremmo definire il "principio di umanità della giurisdizione", un principio che affonda le sue radici nella concezione costituzionale del giudice come soggetto indipendente e imparziale, capace di quella sintesi creativa tra norma e caso concreto che nessun algoritmo, per quanto sofisticato, potrà mai replicare.

La formulazione della norma rivela una consapevolezza profonda delle implicazioni filosofiche e costituzionali della questione. Non si tratta semplicemente di vietare l'uso dell'intelligenza artificiale nella giustizia, ma di tracciare una linea di demarcazione netta tra ciò che può essere delegato alla macchina e ciò che deve rimanere prerogativa esclusiva dell'intelligenza umana. L'interpretazione della legge, la valutazione dei fatti e delle prove, l'adozione dei provvedimenti: questi sono i pilastri dell'attività giurisdizionale che il legislatore ha voluto sottrarre definitivamente alla logica algoritmica.

La Giustizia Predittiva e il Paradosso della Certezza.

La giustizia predittiva, che utilizza algoritmi complessi per prevedere gli esiti delle decisioni giudiziarie, rappresenta forse la sfida più insidiosa al modello tradizionale di giurisdizione. L'idea che sia possibile anticipare l'esito di un giudizio attraverso l'analisi statistica di precedenti decisioni esercita un fascino comprensibile in un'epoca ossessionata dall'efficienza e dalla prevedibilità.

Tuttavia, come ci insegna la lezione di Zagrebelsky, la ricerca della certezza assoluta nel diritto può trasformarsi in una trappola mortale per la giustizia stessa. Il diritto vivente, quello che emerge dall'incontro tra norma e caso concreto, non può essere ridotto a una formula matematica senza perdere la sua capacità di adattarsi alle infinite sfumature della realtà umana.

La giustizia predittiva promette certezza, ma rischia di consegnare rigidità. Promette efficienza, ma può produrre ingiustizia. Il paradosso è evidente: nel tentativo di rendere il diritto più prevedibile, si rischia di privarlo di quella flessibilità che è la sua forza vitale. L'esclusione dell'utilizzo dell'IA nei processi interpretativi, valutativi e decisionali rappresenta quindi non un rifiuto del progresso, ma una scelta di civiltà giuridica.

Il Problema della Trasparenza Algoritmica.

Una delle questioni più complesse sollevate dall'introduzione dell'intelligenza artificiale nel sistema giudiziario riguarda la cosiddetta "trasparenza algoritmica". Il diritto di difesa impone che non dovrebbe restare precluso all'interessato di conoscere le modalità con le quali è stata assunta una decisione destinata a ripercuotersi sulla sua sfera giuridica.

Questo principio, apparentemente semplice, nasconde complessità tecniche e giuridiche di straordinaria portata. Come può un cittadino esercitare il proprio diritto di difesa contro una decisione presa da un algoritmo di cui non conosce il funzionamento" Come può un avvocato impugnare una sentenza basata su calcoli probabilistici che sfuggono alla comprensione umana"

La questione assume contorni ancora più drammatici se consideriamo che l'accesso all'algoritmo può essere ostacolato dalla tutela della proprietà intellettuale e dalla mancanza di trasparenza dei processi decisionali algoritmici. Si profila così il rischio di una giustizia a "scatola nera", in cui le decisioni vengono prese secondo logiche imperscrutabili, sottraendo al controllo democratico uno dei poteri fondamentali dello Stato.

L'Eredità Costituzionale e la Sfida dell'Innovazione.

La Costituzione italiana, nella sua saggezza profetica, ha posto le basi per affrontare anche questa sfida. L'articolo 101, secondo cui "i giudici sono soggetti soltanto alla legge", assume oggi una valenza nuova e più profonda. Questo principio mal si concilia con l'idea di decisioni automatizzate, poiché introdurrebbe un tertium quid tra il giudice e la legge, alterando l'equilibrio costituzionale dei poteri.

La giurisprudenza costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi su questioni analoghe, riaffermando costantemente la necessità di un controllo umano effettivo sui processi decisionali. Questa linea di principio trova ora una consacrazione legislativa nel DDL 1146/24, che rappresenta un tentativo di tradurre in norme positive i principi costituzionali fondamentali.

Ma la sfida non si esaurisce nella mera conformità costituzionale. Come Zagrebelsky ha magistralmente illustrato nelle sue riflessioni sul diritto costituzionale vivente, la Costituzione non è un documento statico, ma un organismo vivente che deve saper dialogare con i tempi. Il compito del giurista contemporaneo è quello di trovare un equilibrio tra fedeltà ai principi costituzionali e apertura alle innovazioni tecnologiche.

Le Prospettive di Utilizzo Compatibile.

Sarebbe tuttavia riduttivo interpretare il DDL 1146/24 come un rifiuto totale dell'intelligenza artificiale nel sistema giudiziario. Le prospettive di maggiore utilità riguardano la riduzione dell'arretrato tramite strumenti di case management predittivo, la maggiore uniformità interpretativa mediante sistemi di analisi giurisprudenziale, il miglioramento dell'accesso alla giustizia per i cittadini.

L'intelligenza artificiale può e deve essere uno strumento al servizio della giustizia, non il suo sostituto. Può aiutare nella ricerca giurisprudenziale, nell'organizzazione dei fascicoli, nella gestione dei flussi processuali. Può fornire al giudice elementi di valutazione, statistiche, precedenti. Ma non può e non deve sostituirsi al giudice nel momento cruciale della decisione.

Questa distinzione, apparentemente sottile, è in realtà fondamentale. È la differenza tra un'intelligenza artificiale "servente", che potenzia le capacità umane, e un'intelligenza artificiale "sostitutiva", che pretende di rimpiazzare il giudizio umano. La distinzione tra informatica "servente-deduttiva" e informatica "predittiva" diventa così il criterio guida per orientarsi in questo nuovo panorama tecnologico.

Il Caso Loomis e le Lezioni dall'Esperienza Straniera.

L'esperienza internazionale offre preziosi insegnamenti sui rischi connessi all'uso acritico dell'intelligenza artificiale nella giustizia. Il caso Eric Loomis mette in luce la problematica che un algoritmo decisionale commini una pena non in base al fatto commesso ma piuttosto sulla scorta delle probabilità future di commettere nuovi reati.

Questo caso paradigmatico illustra con drammatica chiarezza i pericoli di una giustizia algoritmica. Quando la decisione giudiziaria si basa non sui fatti accertati, ma su calcoli probabilistici derivati da dati statistici, si assiste a una perversione del concetto stesso di giustizia. Non si giudica più l'atto, ma si condanna la probabilità. Non si valuta più il caso concreto, ma si applica una formula matematica.

L'Italia, con il DDL 1146/24, ha scelto di non percorrere questa strada. Ha scelto di mantenere salda la distinzione tra giustizia e statistica, tra giudizio e calcolo. È una scelta coraggiosa, che va controcorrente rispetto a certe tendenze internazionali, ma che affonda le sue radici nella migliore tradizione giuridica europea.

La Formazione del Giurista nell'Era Digitale.

L'introduzione dell'intelligenza artificiale nel sistema giudiziario pone anche questioni di formazione e competenza professionale. Appare necessario sviluppare linee di ricerca interdisciplinari che integrino diritto, informatica giuridica ed etica, promuovendo la formazione dei magistrati su queste tematiche.

Il giurista del futuro dovrà essere un professionista ibrido, capace di padroneggiare tanto gli strumenti tradizionali del diritto quanto le nuove tecnologie. Dovrà saper dialogare con l'intelligenza artificiale senza esserne soggiogato, utilizzarla senza dipenderne, comprenderla senza subirla.

Questa trasformazione richiede un ripensamento profondo dei percorsi formativi, tanto universitari quanto professionali. Non basta più conoscere il diritto; bisogna comprendere anche i meccanismi attraverso cui la tecnologia può influenzare la sua applicazione. Non è sufficiente saper interpretare le norme; occorre anche saper valutare criticamente gli strumenti algoritmici che possono supportare tale interpretazione.

Il Diritto come Resistenza Umanistica.

In questo contesto di trasformazione tecnologica, il diritto assume una funzione nuova e inaspettata: quella di custode dell'umano. La delega di funzioni decisionali a sistemi algoritmici rischia di erodere quello che viene definito il "nucleo incomprimibile" della funzione giurisdizionale.

Questo "nucleo incomprimibile" non è solo una categoria tecnico-giuridica, ma rappresenta l'essenza stessa della civiltà giuridica occidentale. È il riconoscimento che esistono ambiti dell'esperienza umana che non possono essere ridotti a calcolo, dimensioni della realtà che sfuggono alla logica binaria degli algoritmi.

La motivazione delle decisioni, ad esempio, non è solo un obbligo procedurale, ma una pratica discorsiva che rende la sentenza non solo il prodotto di un'autorità formale, ma anche il risultato di un processo di giustificazione razionale accessibile all'intera comunità giuridica.

Verso una Nuova Epistemologia Giuridica.

L'incontro tra diritto e intelligenza artificiale non è solo una questione tecnica o procedurale, ma apre interrogativi epistemologici fondamentali. Che cos'è la conoscenza giuridica" Come si forma il convincimento del giudice" Qual è il rapporto tra ragione umana e calcolo algoritmico"

La giustizia predittiva rappresenta un caso paradigmatico di quella che viene definita la "quarta generazione" di diritti costituzionali: diritti emergenti dall'interazione tra tecnologie digitali e principi costituzionali preesistenti.

Questa nuova generazione di diritti non richiede l'elaborazione di categorie giuridiche completamente nuove, ma una reinterpretazione evolutiva di diritti già riconosciuti. Il diritto di difesa, ad esempio, assume nuove dimensioni quando deve confrontarsi con decisioni algoritmiche. Il principio del contraddittorio si arricchisce di significati inediti quando una delle parti del processo è, in qualche misura, un algoritmo.

La Responsabilità nell'Era degli Algoritmi.

Una delle questioni più complesse sollevate dall'introduzione dell'intelligenza artificiale nel sistema giudiziario riguarda il tema della responsabilità. In assenza di una normativa che regolamenti interamente le procedure decisionali automatizzate, può insorgere il rischio di abusi o condotte arbitrarie.

Chi risponde di una decisione presa con il supporto di un algoritmo" Il giudice che ha utilizzato lo strumento" Il programmatore che ha sviluppato il software" L'amministrazione che ha adottato il sistema" La questione non è meramente accademica, ma ha implicazioni pratiche di straordinaria rilevanza.

Il DDL 1146/24, riservando al magistrato ogni decisione fondamentale, risolve elegantemente questo dilemma. Mantenendo la responsabilità decisionale in capo al giudice, preserva la chiarezza del sistema di responsabilità e garantisce che ci sia sempre un soggetto umano chiamato a rispondere delle proprie scelte.

Il Futuro della Giurisdizione: Tra Innovazione e Tradizione.

Guardando al futuro, è possibile intravedere i contorni di un sistema giudiziario che sappia coniugare innovazione tecnologica e fedeltà ai principi costituzionali. Un sistema in cui l'intelligenza artificiale sia al servizio della giustizia, non il suo padrone. Un sistema in cui la tecnologia amplifichi le capacità umane senza sostituirle.

La nomofilachia, intesa come funzione unificatrice della giurisprudenza, può trovare nell'intelligenza artificiale un alleato prezioso, purché questa rimanga uno strumento di supporto e non diventi un meccanismo di sostituzione del giudizio umano.

L'obiettivo non è quello di creare una giustizia perfettamente prevedibile, ma una giustizia più efficiente e accessibile. Non si tratta di eliminare l'incertezza dal diritto, ma di gestirla meglio. Non si vuole sostituire il giudice con l'algoritmo, ma fornire al giudice strumenti più potenti per svolgere la sua funzione.

Conclusioni: Il Diritto come Custode dell'Umano.

Il DDL 1146/24 rappresenta molto più di una semplice regolamentazione tecnica dell'uso dell'intelligenza artificiale nella giustizia. È una dichiarazione di principio, un manifesto antropocentrico, una riaffermazione della centralità dell'umano nel sistema giuridico.

In un'epoca in cui la tecnologia sembra promettere soluzioni algoritmiche a ogni problema, il diritto rivendica la propria specificità, la propria irriducibilità alla logica computazionale. Non per conservatorismo o per paura del nuovo, ma per fedeltà a quei valori di giustizia, equità e dignità umana che costituiscono il fondamento della civiltà giuridica occidentale.

Come Gustavo Zagrebelsky ci ha insegnato, il diritto deve essere "mite", capace di adattarsi ai tempi senza perdere la propria essenza. Il DDL 1146/24 rappresenta un esempio paradigmatico di questa "mitezza": aperto all'innovazione ma saldo nei principi, flessibile negli strumenti ma rigoroso nei valori.

La sfida che ci attende è quella di costruire un sistema giudiziario che sappia essere, al tempo stesso, tecnologicamente avanzato e umanamente sensibile. Un sistema che utilizzi l'intelligenza artificiale per migliorare l'accesso alla giustizia, ridurre i tempi processuali, aumentare l'efficienza, ma che mantenga sempre al centro l'uomo, con la sua dignità, i suoi diritti, le sue aspirazioni di giustizia.

In questo senso, il diritto si conferma non solo come sistema di norme, ma come custode dell'umano nell'era della tecnologia. Una responsabilità immensa, che richiede saggezza, coraggio e una profonda consapevolezza del ruolo che il diritto è chiamato a svolgere nella società contemporanea.

Il futuro della giustizia non sarà né puramente umano né puramente artificiale, ma sarà il frutto di una sintesi sapiente tra le migliori capacità dell'uomo e le più avanzate potenzialità della tecnologia. Una sintesi che il DDL 1146/24 ha iniziato a delineare e che spetterà alla dottrina, alla giurisprudenza e alla pratica forense sviluppare e perfezionare negli anni a venire.


Avv. Erik Stefano Carlo Bodda è Avvocato del foro di Torino, iscritto all'Albo Speciale dei Cassazionisti e delle Giurisdizioni Superiori, è stato Abogado presso il Colegio de Madrid (ICAM) ed iscritto presso il Barreau de Paris.

E' fondatore dello studio legale BODDA & Partners


"Il diritto, come la giustizia, è una conquista fragile che ogni generazione deve riconquistare. Nell'era dell'intelligenza artificiale, questa riconquista passa attraverso la riaffermazione dell'irrinunciabile valore dell'umano."


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